C’è qualcosa che non va in origine…

Qualche giorno fa, ha fatto scalpore la notizia della denuncia di una donna bianca  dell’Ohio, unita con la sua compagna,  per aver ricevuto lo sperma di un afro-americano, anziché, come richiesto, di un donatore caucasico. Come spiega il Corriere della Sera, un banale errore nella lettura del numero che la banca del seme ha commesso insensatamente (fialetta 330, al posto della fialetta 380). Un banale errore di lettura…

Jennifer Cramblett e Amanda Zinkon avevano trascorso un anno a scegliere il donatore per poter diventare genitori e la scelta era caduta proprio su un uomo bianco perché le due donne vivono in una cittadina poco tollerante con gli afro americani, dove i bianchi rappresentano il 98% della popolazione. Attendevano una bimba bionda con gli occhi azzurri, ma è nata una bambina di razza mista

Ma la vicenda, che ha risvolti – è  inutile negarlo – che lasciano affiorare uno strisciante e capillare razzismo tale da far rabbrividire  (ambiente bianco, disagio nell’allevare un bimbo nero, e via dicendo), per quanto le due donne affermino che amano la loro bambina, nasconde aspetti ben più importanti.

Vi è uno stridore, uno senso di spaesamento che non va censurato.

Al di là di come la si pensi su questi temi, occorre  chiedersi se non vi sia un vizio d’origine, un più radicale equivoco, un’insufficienza di ragioni e di verità nelle scelte, nelle strutture, nell’intera dinamica messa in atto da questo nuovo settore dell’industria medica.

Domandiamoci: ma è giusto selezionare il seme – e dunque l’aspettativa delle caratteristiche del figlio – nel modo che mostra l’immagine qui sotto?  Non vi è forse qualcosa che non torna e che non c’entra nulla con la maternità e la paternità? Il figlio, questo mistero che non dipende da me, che non è frutto della mia biologia, ma esito totalmente imprevisto, quand’anche atteso, del mio amore per una donna (che non è come mi aspettavo, che compare nella vita come un elemento del tutto nuovo all’orizzonte), è ancora lì, davanti a me, capace, con la sua novità assoluta e incontenibile, di ridare speranza alla nostra vecchia civiltà?

Lo vedo ancora, offuscato dal mercato delle banche del seme?

Pagina pubblicitaria di una nota banca del seme, tra le più fornite ed efficienti. Come si legge dalla didascalia del Corriere della sera, si può scegliere tutte le caratteristiche del donatore, e dunque rinforzare le proprie le aspettative nel figlio.
Pagina pubblicitaria di una nota banca del seme, tra le più fornite ed efficienti. Come si legge dalla didascalia del Corriere della sera, si possono scegliere tutte le caratteristiche del donatore, e dunque rinforzare le proprie aspettative nel figlio.

I nostri figli non ci appartengono, sostiene la saggezza popolare (sono un dono del cielo, dicono i vecchi), e Gibran utilizza la metafora poetica dell’arco e della freccia.

I vostri figli non sono i vostri figli.
Sono i figli e le figlie dell’ardore che la Vita ha per sé stessa.
Essi non vengono da voi, ma attraverso di voi,
e non vi appartengono benché viviate insieme. (…)

Voi siete gli archi da cui i vostri figli come frecce vive,
sono scoccati lontano.

Queste news diventeranno sempre più frequenti, così come le pratiche sempre più sbrigative. Entrambe denunciano un deficit che sta all’origine. È una carenza ontologica, una mancanza di senso, un vuoto dell’Essere, che non può essere colmato in questo modo.

È cercare dove non si trova, evitare la ferita lacerante e dolorosa di una mancanza che – proprio essa, che noi disdegnano – è l’unico punto di speranza per un nuovo inizio.

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