Charlie e quel mistero insondabile che è la (fine della) vita

La vicenda di Charlie Gard ha aperto ferite. Domande (molte) e risposte (poche, ma ne emerge una assolutamente decisiva e va guardata con reale interesse). Emerge una diversità di opinioni. Battaglie non esattamente sacrosante e battaglie invece profonde e vere, ma salvo alcuni casi soffocate da un senso di enorme, ed inerme, impotenza.

Senza dubbio la domanda più grave è il significato e il senso di tutto quanto è in gioco. Ha senso una sentenza che non accoglie la volontà dei genitori di tentare tutto perché il proprio figlio viva? Ha senso il precedente veto dei medici ad operare scelte da parte della famiglia per una nuova “cura”? Ha senso tuttavia perseguire una “cura” che si affermi come non produttiva se non di nuovi dolori (così dicono con diversi livelli di certezza)? Ma perché negarne la possibilità? E perché lottare così tanto per un figlio che “non ha futuro”? E poi, oggi terribilmente urgente, che cosa è eutanasia e cosa accanimento terapeutico?

E soprattuto dove consiste il valore di una vita?

Ad alcune di queste domande, risposte sono giunte, ad altre no.  Ci sono dati che, peraltro, il clamore mediatico non ha messo bene in rilievo. Tra l’altro ringrazio le obiezioni di alcuni miei alunni, ora studenti di medicina, e di alcuni colleghi, perché mi hanno aiutato ad andare più a fondo. Premetto che di tutta la vicenda e delle risposte che mi sono state date, c’è qualcosa che proprio non torna ancora. In sostanza ritengo che “staccare la spina”, di fatto,  non sia una risposta ma un cedimento. Necessario? Opportuno? Comunque un cedimento, una sconfitta di fronte a “quella battaglia che nessun uomo potrà mai vincere” (Springsteen). Occorre capire se ci sono margini di speranza su questa battaglia, che in fondo è quella di tutti. Solo così sarà possibile illuminare di una luce diversa anche la vicenda di Charlie. Occorrono scintille di resurrezione perché altrimenti non è fottuto solo Charlie, ma anche tutti noi.  Questa storia mette a nudo questa terribile verità. Siamo ingannati dalla vita o questa ha un senso (malgrado tutto, ma proprio tutto, anche malgrado, e dentro, drammi come quelli di Charlie)? L’amarezza della canzone di Springsteen fotografa la stessa amarezza che proviamo di fronte a Charlie. Ma questa è specchio della nostra vita, delle nostre giornate.

Senza arrivare a questo punto, si produce ingiustizia, anche sostenendo le idee giuste, È così ingiusto (moneta di segno opposto ma dello stessa natura di chi propaga la morte)  fare battaglie senza conoscere i dettagli e l’unicità di questo caso. Anzi l’unicità di tutti questi casi, avendo connotazioni veramente delicate, come dimostrano gli interventi di numerosi medici cattolici – anch’essi divisi nelle opinioni –  e come dimostra la pratica effettiva in tanti ospedali cattolici. A dimostrazione del fatto che il problema ha una sua delicatezza tutta particolare e che le questioni che si aprono sono nuove e prive di risposte pre-definite, pur entro l’alveo certo che ha chiarito il Papa:  si lotta per la vita, non per altro.

Alcune risposte, dal punto di vista giuridico, vengono da Ilaria Bertini che, da Londra, in questo non facile articolo chiarisce la complessità di come sia nato il “caso” giuridico, con passaggi sulla patria potestà e sulla posizione iniziale della famiglia, utili per capire meglio (ma non tutto viene ad essere illuminato) che nel concreto di questo caso non si tratta di compiere una divisione manichea tra “buoni” e “cattivi”. Il testo integrale della sentenza della Corte europea è poi stato pubblicato, in inglese, dall’amico Paolo Facciotto. Sempre da Londra, anzi dall’ Ormond Street Hospital, dove è accolto Charlie, proveniva una lettera di un’infermiera, Letizia Zuffellato, che sostanzialmente difendeva l’operato dei medici di un ospedale che – ricordiamolo – è considerato un’eccellenza, aprendo nuove e più ampie considerazioni (decisiva quella relativa all’impotenza di fronte al desiderio di tenere in vita un proprio figlio).

I due interventi hanno suscitato una marea di critiche, a volte virulente (veri e propri insulti), segno di quanto la vicenda sia importante e sentita, ma anche di una reattività, istintiva e violenta, a volte non comprensibile, sicuramente non tollerabile.

Se le due lettere sono state oggetto di una sorta di ostracismo, tuttavia, sul sito Vita.it, una realtà non esattamente anti-vita ovviamente, è ospitato l’intervento di Alessandra Rigoli, dottoressa cattolica, che si schiera con i medici londinesi, a partire dalla sua esperienza personale e spiegando perché non sarebbe in questo caso “eutanasia”.

Dall’altra parte si legge su Avvenire di un caso, definito analogo a quello di Charlie, in cui il bambino, anziché i pochi mesi di vita diagnosticati, ha già raggiunto i nove anni e la madre testimonia la positività della loro esistenza, pur segnata dall’inabilità totale.   Torna a parlare del caso italiano (il bimbo è soprannominato Mele) Il Sussidiario, con un articolo più ricco di dettagli. Si apprende che al momento in Italia non si sarebbe potuta creare la situazione inglese («In Italia la legge vieta l’interruzione delle cure nei bambini senza il permesso dei genitori. Questo diritto diventerebbe, anche da noi, molto più incerto se passasse la legge sulle DAT in discussione al Senato») e che una cura sperimentale negli USA in realtà è in atto, e dunque potrebbe essere un’opportunità. Dato che, invece, da altri (dai “tribunali” inglesi ed europei, ma anche da medici cattolici) viene del tutto negato.

Appare chiaro che forse non ci si stia intendendo su numerosi dettagli, ma forse non ci si intende su che significhi “vita” .

Mele, Emanuele Campostrini,  intanto, a dispetto della diagnosi delle prime settimane, va a scuola (vedi l’articolo integrale). La famiglia Gard e la famiglia Campostrini (che aveva inviato un video appello perché si lasciasse vivere Chiarlie) si sentono quotidianamente.

In rete si trovano numerosissimi altri articoli, espressione delle due direzioni di opinione.  Sempre Vita.it ricorda, intervistando Luca Manfredini, referente per la terapia del dolore e cure palliative dell’Ospedale Pediatrico Gaslini di Genova, che in Italia i bambini che necessitano di cure palliative (che non hanno speranza di guarigione) sono 35mila e solo il 15% ne può usufruire. Fatto di cui nessuno si occupa.  Cure palliative, non eutanasia. L’eutanasia non può mai essere contemplata – al contrario di come sembra affermare la legislazione belga, contro cui si è scagliato l’International Children’s Palliative Care Network (ICPCN) – come opzione percorribile in questi casi.

Ma è questo il caso di Charlie? Alla fine dell’articolo  si chiarisce la questione ricalcando la posizione della dott.ssa  Rigoli. (Si veda qui per intero l’articolo). Il finale tenta di chiarire uno dei grandi dilemmi: «nessun intervento medico è consentito a meno che i suoi vantaggi non superino i danni. Quando la cura non è più possibile, tali benefici e danni devono essere considerati in senso ampio, in un modo che comprende anche gli interessi emotivi, psicologici e spirituali così come quelli fisici. Poiché è la famiglia dei bambini che li conosce meglio, tale considerazione si basa sulle discussioni tra la famiglia e il team sanitario (e quando possibile, il bambino stesso) per stabilire se gli interventi sono equilibrati e nel migliore interesse del bambino. Quelli che non lo sono – cioè il cui danno supera i benefici – dovrebbero essere interrotti o evitati. Questo non costituisce eutanasia».

Come si vede la questione è estremamente complessa (ma sarebbe un errore grave avere paura della complessità) e non sono giustificate battaglie all’arma bianca, mentre risultano a dir poco sconsolanti i tentativi di far apparire silenti e assenti le istituzioni della Chiesa da parte di  “ultras cattolici”, tirandole per la giacchetta. In tal senso si veda il solito Socci che conclude il suo articolo con l’umile e  devota espressione, “un Papa vero non si comporta così”. In realtà già i vescovi inglesi erano intervenuti, così come mons. Paglia e lo stesso presidente della CEI Bassetti e mentre Socci si apprestava a pubblicare le sue parole di fuoco, il papa interveniva con un tweet a cui è seguito un comunicato tramite il suo portavoce (si veda qui). La posizione del papa è quella della difesa della vita e della relazione di Charlie con la propria famiglia (ma su questo pare che essi abbiano perso la patria potestà nel momento che sono entrati in contenzioso con l’ospedale, come prevede la legge inglese – vedi articolo Bertini-).

Intanto il fronte della certezza negativa sul destino di Charlie si rompe e, come riporta Il Sussidiario, “il presidente dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù, Mariella Enoc, ha confermato la disponibilità ad accogliere Charlie Gard”. Vi sono contatti in corso per salvargli la vita e si è interessato persino il presidente americano Donald Trump. Anche il ministro Lorenzin si è complimentato con l’ospedale vaticano. Improvvisamente la questione sembra prendere un’altra luce. Sono così certe le prime evidenze mediche?

È certo che una cultura che avanza l’eutanasia come soluzione rapida e indolore ai drammi della vita esiste e intende porsi senza mezzi termini come risolutiva per tante situazioni delicate, dove la vita è più fragile.  Paolo Vites, il 28 giugno, ha riportato l’opinione dello scienziato ateo Dawkins, a riguardo dell’aborto. Dawkins sostiene che un feto umano è meno simile ad un uomo adulto che non un maiale adulto. Un modo di esprimersi che indica la presenza di una cultura che ha smarrito il valore della vita umana, il suo mistero, la sua preziosa unicità, e che va fortemente combattuta.

L’orrore che nasce da alcuni passaggi della vicenda di Charlie è il timore e l’impressione che si stia aggiungendo un tassello verso questa direzione, definendo e delineando quelle che sono considerate “vite indegne di essere vissute”. Un pensiero oggi diffuso nella mente di tanti, senza comprenderne la vera barbarie, del tutto analoga a quella nazista. In tal senso è assai significativa l’opposizione del vescovo di Munster, Von Galen, e di tutto il popolo della sua diocesi al programma di eutanasia di Hitler, il terribile programma AktionT4.

Le avvisaglie di questa “cultura di morte” sono state messe in luce da lungo tempo. In occasione del dibattito intorno al caso Eluana, l’associazione riminese Hannah Arednt invitò il dott. Mario Melazzini, malato di SLA. Durante la conferenza si espresse provocatoriamente, affermando che nella sua situazione non era preoccupato di “aver diritto a morire dignitosamente” (come allora si chiedeva da più parti alla legislazione italiana), bensì di aver diritto a vivere, poiché in tanti paesi, specie di cultura anglo-sassone, non si curano più i malati terminali; le loro cure sono ritenute costose e inutili, e li si lascia morire. Parole che paiono profetiche.

Melazzini, poi, sempre a Rimini, presentando un suo libro al Meeting, affermò “Quando mi hanno comunicato che avevo la Sla ho pensato che di questa malattia si muore. Ora mi rendo conto che il mio male mi ha dato più di quanto mi ha tolto ed è questo sguardo che voglio dall’infinito. Apprezzare con gioia la vita, ma con la consapevolezza del Mistero che ci circonda… anche su una sedia a rotelle non si smette mai di cercare”. Una cultura che non riconosce più il valore della vita, anche nella malattia, esiste e c’è chi la combatte mostrando che la vita c’è dove meno te l’aspetti.

Sarebbe invece grave prendere a pretesto questo caso, per innescare una presunta “battaglia di popolo”.  È una posizione rischiosa, perché prevale un progetto sulla presenza di una vita (una e irripetibile), che c’è ed è il vero punto di rinascita, il quale non potrà consistere in una nuova presunta cultura, nata sull’onda emotiva di un fatto così straziante, e non dalla reale presenza di vita rinnovata.  In tal senso occorre, in primo luogo, recuperare un reale senso del valore dell’esistenza. Non di una concezione dell’esistenza ma dell’esistenza stessa. Alcuni fatti sono d’aiuto a capire questo ultimo punto e la possibilità di una svolta in questo dibattito.

Il primo fatto è che se migliaia di persone si sono stracciate le vesti di fronte alla sorte di Charlie, un’amica che vive a Londra mi scrive un paio di giorni fa: “La cosa più triste per me è la solitudine dei genitori, su cui certo anche qualche medico ha le sue colpe, come poi è emerso dalla sentenza. (…) Non c’era nessuno davanti all’ospedale. Tutti su Facebook a fare crociate.”

Un’annotazione semplice ma di importanza capitale.

La comprendiamo meglio se leggiamo la bellissima lettera della dott.ssa Eugenia Parravicini, medico nel reparto di patologie neonatali, in un importante ospedale di New York. Una lettera che ha un tenore differente, vivo e positivo,  e che prende maggiore significato se letta alla luce dell’attività della dott.ssa Parravicini, che ben si può desumere da questo  video, che mostra cosa stia facendo a New York. Scintille di resurrezione.

 

 

È qui, su questo fronte del riappropriarsi della vita e del suo insondabile mistero, che si colloca la riflessione di Prosperi e del dott. Corsi, pubblicata , come lettera, qualche giorno fa sul sito di CL.

Evitando di considerare la storia di Charlie come un’arma da scagliare contro la “cultura della morte” (Charlie non è un’arma, Charlie è lui, è terribilmente malato e il suo destino è misterioso), offre i criteri per un giudizio (la difesa della vita e il valore della relazione con i genitori) ma soprattutto rilancia le domande che sono sottese da questa terribile vicenda. Domande sulla morte e sulla vita.  Domande che trovano una risposta in quello che la Parravicini ha costruito, esprimendo un’indomabile esperienza di vita. Che sperimenta concretamente che significhi sperare contro ogni speranza.

Senza questa esperienza, senza questi sprazzi di resurrezione, ogni battaglia è perduta in partenza. Avrebbe terribilmente ragione Springsteen, geniale laddove afferma che “c’è qualcosa che muore per strada questa notte. Quando la scommessa viene infranta, (…) questo ti ruba qualcosa dal profondo dell’anima. Come quando viene detta la verità e questa non fa alcuna differenza e qualcosa nel tuo cuore diventa di ghiaccio.”

Senza sprazzi di resurrezione saremmo di ghiaccio e privi di vita, già sconfitti, sia sul fronte pro-life che sul fronte di coloro che vogliono staccare la spina, anzi tante spine. Quelle spine che ci ricordano le parole del preconio pasquale: “Nessun vantaggio per noi essere nati, se Lui non ci avesse redenti”.

Come non diventare di ghiaccio di fronte ai duri colpi della vita e mantenere vivo il “sogno della giovinezza” (Giovanni XXIII)?

È la questione che solleva il dramma che sta vivendo Charlie. Un dramma che, nascosto tra le apparenze del quotidiano, è in realtà dentro ognuno di noi in ogni frangente delle nostre giornate.

 

13 commenti su “Charlie e quel mistero insondabile che è la (fine della) vita”

  1. Caro Emanuele. Ho letto a velocità lampo e con estremo interesse il tuo articolo, anche per la considerazione che ho sempre avuto, e oggi confermata nuovamente, della tua intelligenza e onestà intellettuale.
    Mi permetto solo un’osservazione: é inutile e superficiale, come credo tu sostenga, censurare la domanda che il caso di Charlie pone, con prese di posizione ideologiche. Ma, fatti i conti con questo dramma che ci abita, c’é un fatto che va giudicato come tale: stiamo attribuendo ad un ente impersonale la facoltà di decidere sulla vita. Non parliamo qui di una donna interrogata dall’aborto; o di un uomo che non sa se staccare la spina al figlio; o di un soldato a cui il compagno ferito chiede “lasciami qui e vai avanti!”. Parliamo di due soggetti, i genitori di un bambino, titolari di una responsabilità sulla creatura, che vengono esautorati e deresponsabilizzati.
    Non credo, io almeno, in favore di una cultura della morte; ma con il fine (malcelato dietro battaglie e controbattaglie di marketing sentimentale) di fissare il principio secondo il quale un’autorità pubblica possa determinare la durata di una vita, e ció per ragioni di budget del welfare pubblico. La pretesa di tale facoltà, come ogni esigenza pratica nela storia dell’uomo, richiede una motivazione ideale, e nel caso specifico l’ideale che é stato affermato é riassumibile nell’affermazione per cui “una vita dolorosa e breve non é una vita degna”.
    Ora, i fatti per me rilevanti sono due: il primo, é che le ragioni addotte sono insincere e populiste, e nascondono la pur evidente concezione del decisore: e cioé che per il bene del sistema, sia accettabile sacrificare qualcuno. Dispiace che ció non sia stato detto chiaramente, in quanto una simile ammissione, per quanto opinabile e suscettibile di aspre critiche, avrebbe avuto il pregio di mettere a nudo una reale preoccupazione per il bene del mondo, una concezione chiara di tale bene e delle modalità per raggiungerlo. Ma forse il paternalismo nei confronti delle masse (che contraddiatingue tale medesima concezione) ha portato i decisori a ritenere il pubblico “non pronto” o “non maturo” per un confronto su questi temi.
    Il secondo fatto é che la concezione del mondo che ha decretato la sorte di Charlie é, in parole povere, quella che ritiene l’ordine del Tutto più importante della sorte del Singolo. Quand’anche (come credo) sincera nel tentativo di affermare e fare il bene, tale concezione, come cattolico, DEVO osteggiarla. Perché é la concezione che genera i sacrifici umani. Perché é contraria a tutto ció che ho vissuto e imparato e desiderato come Cristiano. Perché é la posizione di Potere e Governo, non quella di testimonianza, é contraria al concetto stesso di personalismo e a tutti i principi della Dottrina Sociale della Chiesa. É la Macchina, asettica, irresponsabile e impersonale, quela che Tolkien chiama “magia”, che uccide la persona a favore di un vacuo ordine. Così vacuo che non riesce a rispettare la libertà di due genitori.

    Non scrivo questo in polemica con chicchessia, ma in guerra con il mondo e la morte: in buona fede forse, chi ha decretato la morte di Charlie lo ha fatto per il bene del sistema. Il mio Dio, Gesú Cristo, é morto per il bene di ciascuno. Anche di Charlie

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  2. Grazie Paolo del tuo commento appassionato. Condivido tutto. In questa giornata ulteriori elementi sembrano andare verso questa ostinazione a impedire cure o modalità differenti, e dunque assecondare il tuo sospetto. Però occorre capire bene e vedere gli aspetti medici e giuridici in gioco. Capirli “da fino” e non fermarsi al sospetto, per non ridursi a una battaglia priva di respiro. Qui occorrono risposte nuove. Diffido dalle facili certezze quando la realtà è complicata. Qualcosa appare, dei miei dubbi su come gli “inglesi” e l’ “Europa” si siano mossi. Ma molto di più vi sarebbe da dire. Domani pubblicherò altro (tempo permettendo). Stanno accadendo cose interessanti.

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  3. Condivido tutto.
    Due precisazioni e un rilievo:
    1) I due casi – bellissimi – dei due bambini ‘similari’ rientrano in malattie dello stesso ‘ceppo’, ma che interessano geni diversi. Non sono realmente comparabili.
    2) I genitori hanno piu’ di una volta – incluso di fronte al giudice – espresso il loro consenso ad interrompere il sostegno artificiale, fatta salva la possibilita’ del trattamento americano, attorno a cui gira il processo. Trattamento – non cura – che e’ stata valutata da numerosi esperti, inclusa l’ipotesi di effettuarlo al GOHA, ma alla fine giudicata ipso facto accanimento, con probabile dolore aggiuntivo e rischi fino alla mutazione genetica. Anche il medico americano, verificata la situazione clinica reale del bambino (che troppi danno per scontata – e in merito si legga l’intervento di Colombo al Sussidiario), si e’ espresso in maniera negativa rispetto alla sua utilita’, pur rendendosi disponibile a provare SE pagato adeguatamente (1.2 milioni mi sembra)… E’ un po’ tirare la storia sostenere che i giudici stanno imponendo di staccare la spina ai genitori. Peraltro le sentenze e l’ospedale prevedono le cure palliative piu’ tempi e modi del distacco dei macchinari da concordare con i genitori, cosa coerente con il tempo aggiuntivo che e’ stato concordato questa settimana.

    Il punto 1 e’ spiegato brevemente in sentenza mentre il punto 2 estensivamente. Sentenza che andrebbe letta – soprattutto tra i giornalisti cattolici italiani, che hanno (è ancora continuano a) sparso confusione e troppe notizie false. Non controllare le fonti e fare fact checking minimo e’ grave per un giornalista, tanto piu’ in un caso del genere. Per esempio, il bambino non e’ tracheotomizzato – nonostante gli articoli scritti a caso da troppi – perché gia’ a dicembre i medici si espressero in maniera negativa al riguardo (anche questo e’ in sentenza, ma anche nelle foto), tanto che la madre si lamento’ su Facebook.

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  4. Grazie dell’intervento Alex. Tu metti in luce alcuni tra i punti (di cui faccio cenno effettivamente nell’articolo) che mi fanno essere prudente. Resta che una decisione di questo genere, così delicata, e tu lo accenni su altro aspetto, dovrebbe nascere per un dialogo e un ascolto reciproco tra genitori e medici (come ampiamente sostenuto da documenti e protagonisti che ho citato). Non solo, resta che rimane aperta una ferita enorme. Ma tornando nel merito, non tutto è così chiaro a mio parere, nemmeno nei passaggi che tu dettagliatamente esponi. Se fosse pur vero che non c’è speranza, ma perché non lasciare ai genitori comunque un margine di ricerca e di “scommessa” (sempre in ambito scientifico, come effettivamente si sono mossi)? Accade normalmente in campo medico. Noi firmiamo per il “consenso” alla cura. Dunque potremmo firmare anche per il non consenso. Cerchiamo più strade, sempre, in tanti casi, specie se difficili. Ovvero è riconosciuto al paziente una responsabilità e il diritto di cercare il meglio. Qual sia chi ha la certezza ASSOLUTA di definirlo? Un ospedale? una corte di giustizia? La maggioranza del mondo scientifico? Qui sembra azzerata la libertà di cura (o di provarci – ripeto sempre in marito medico-). Dico “sembra” perché nel procedere degli eventi non tutto è chiaro. Vero, anche io ho colto che la famiglia non è “pro-life” tout court, ma piuttosto decisa a “provare” la cura americana (dalla sentenza si desume questa posizione). In ogni caso altro emergerà e cercheremo di capire meglio. Permettimi però un paio di appunti anche a me. La sentenza integrale, seppure in inglese, io l’ho trovata pubblicata da un giornalista cattolico, un caro amico – Paolo Facciotto-, nel suo blog. Quindi l’accusa ai giornalisti cattolici la trovo ingenerosa (sei certo che quelli laici l’abbiamo letta con attenzione?). La tracheotomia è una richiesta di qualcuno che la vede come alternativa per la prosecuzione della vita del bimbo (così mi pare di aver letto) ma non è stata affermata come stato di fatto, se non forse per leggerezza di espressione. Se non erro Charlie ha un sondino nasale, giusto? (ma medico non sono). È un aspetto che mi sembra tecnico e meno influente, posto che hai ragione affinché la precisione sia rispettata, ma qui la cosa è così complessa che qualcosa può sfuggire. Infine occorre tornare a porre lo sguardo su quella segreta e decisiva relazione che c’è tra genitori e figlio. La rottura di questa è forse la cosa più straziante e rispetto alla quale la legge inglese (ancor più che europea) mi sembra stia dimostrando carenze. Ma parlo al condizionale perché è mia intenzione capire meglio. Che si spezzi questo legame vitale è una sconfitta di tutti. La lettera di Prosperi e Corsi (che link alla fine) su questo è davvero importante e l’esperienza della Parravicini indica un respiro diverso. Ma grazie di cuore del tuo intervento. Peraltro avverto che condividi il senso di terribile strazio che una vicenda del genere fa nascere rispetto all’impossibilità di sconfiggere la morte…

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  5. Chiarimento. Vorrei chiarire che il commento sul fact checking e i giornalisti era assolutamente non riferito a Emanuele, visto che ho iniziato dicendo che concordo su tutto. Era riferito al tritacarne mediatico che si e’ creato attorno a questa storia e a cui hanno contribuito tante testate cattoliche, riportando notizie spesso false. E questo non aiuta, tanto meno in un caso molto complesso – dove anche il tempo gioca la sua parte, perche’ cose (come il trasferimento del bimbo) che sarebbero presumibilmente state possibili a gennaio o anche ad aprile, ora difficilmente lo sono. Sia per questioni legali sia, soprattutto per le deteriorate condizioni del bambino. Troppa gente, anche nella Chiesa, si e’ svegliata un tantino troppo tardi. Almeno in Italia.

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  6. Ora rispondo/chiarifico punto per punto. E grazie per la risposta.

    “Resta che una decisione di questo genere, così delicata, e tu lo accenni su altro aspetto, dovrebbe nascere per un dialogo e un ascolto reciproco tra genitori e medici (come ampiamente sostenuto da documenti e protagonisti che ho citato). Non solo, resta che rimane aperta una ferita enorme.”

    Questa e’ la grande tragedia di questa storia. L’incancrenimento del rapporto tra medici e genitori. Dovuta, da un lato, al fatto umanamente comprensibile che i genitori si sono rifiutati sin dall’inizio di accettare la non curabilita’ di questo caso – rispetto alle conoscenze mediche attuali – e sono poi stati risucchiati in un vortice di media di qualita’ pessima (in UK la storia e’ stata pompata soprattutto dal Sun e dal Daily Mail – l’opposto del giornalismo sano) e poi anche legale piu’ grande di loro. Dall’altro, ci sono stati errori (riportati anche in sentenza) da parte almeno di un medico che si e’ espresso in malo modo in una conversazione privata via email con un collega (credo a gennaio). I genitori, che quando hanno visto gli atti del processo si sono induriti ulteriormente. Questo non ha aiutato e chiaramente ci sono delle responsabilita’, anche etiche. Il Catholic Herald ne ha parlato gia’ ad Aprile: http://www.catholicherald.co.uk/commentandblogs/2017/04/14/as-the-charlie-gard-case-shows-good-medicine-requires-doctors-who-communicate/.

    Questo vuol dire che i medici hanno sbagliato sul merito medico?
    Non necessariamente e probabilmente no, come finalmente anche medici cattolici – dopo mesi di timore nell’esprimersi – hanno iniziato a spiegare perche’ altrimenti passa l’idea che i medici non abbiano un ruolo o ce lo abbiano subordinato ai genitori NEL MERITO MEDICO – e invece ce lo hanno molto chiaro anche nella Dichiarazione sull’Eutanasia, e soprattutto – vista la violenza verbale interna alla Chiesa Cattolica che si e’ scatenata su questo caso verso, ad esempio, la lettera di Letizia (http://www.ilsussidiario.net/News/Cronaca/2017/6/30/CHARLIE-GARD-Lettera-dal-Great-Ormond-Street-Hospital-muore-ma-il-male-e-gia-stato-sconfitto/771606/) – il risultato drammatico sara’ il disincentivo a medici cattolici ad essere in prima linea, dove le decisioni non sono sempre bianco e nero. Anzi, non lo sono quasi mai e la coscienza del medico gioca un ruolo primario.

    Questo vuol dire che i medici, anche quello che ‘ha sbagliato’ in certe affermazioni (quella riportata in sentenza e’ una cosa del tipo “i genitori hanno rotto i cosiddetti e fanno da blocco”), sono stati necessariamente scorretti nel MERITO MEDICO?
    Non necessariamente, anche se e’ possibile. Non ci sono gli elementi, come giustamente Colombo ha fatto notare (http://www.ilsussidiario.net/News/Cronaca/2017/7/1/CHARLIE-GARD-Perche-negare-ai-genitori-la-terapia-compassionevole-/771774/) e oltre un certo punto non si puo’ giudicare senza tutti gli elementi o senza conoscere la coscienza dei medici.
    Inoltre, rispetto all’espressione usata dal medico, bisogna dire che a) il giudice lo ha fatto ‘grigliare’ in corte e ha concluso che il modo non inficiava il merito della questione; b) chi di noi non ha mai usato privatamente espressioni di cui si potrebbe vergognare in pubblico, ancor di piu’ con il senno di poi? Che ne sappiamo che questo medico – che, ricordiamolo, con tutti gli altri di questo reparto tutti i giorni affrontera’ casi drammatici e a cui moriranno bambini fra le mani regolarmente (perche’ questo e’ cio’ che avviene al GOHA e in tantissimi altri ospedali, come ha grazie al Cielo rimarcato la Dott.ssa Rigoli)? Che ne sappiamo che magari questa espressione non sia stata solo uno sfogo privato con un collega dopo magari una notte passata ad operare altri casi difficilissimi? Non lo sappiamo. Ma se conosciamo dottori che operano in circostanze simili, potremmo facilmente verificare che il ‘carattere’ del medico, per quanto correggibile, non dovrebbe inficiare il giudizio sulla sua competenza (con il caveat rimarcato dal Catholic Herald).

    “Ma tornando nel merito, non tutto è così chiaro a mio parere, nemmeno nei passaggi che tu dettagliatamente esponi. Se fosse pur vero che non c’è speranza, ma perché non lasciare ai genitori comunque un margine di ricerca e di “scommessa” (sempre in ambito scientifico, come effettivamente si sono mossi)? Accade normalmente in campo medico. Noi firmiamo per il “consenso” alla cura. Dunque potremmo firmare anche per il non consenso. Cerchiamo più strade, sempre, in tanti casi, specie se difficili. Ovvero è riconosciuto al paziente una responsabilità e il diritto di cercare il meglio. Qual sia chi ha la certezza ASSOLUTA di definirlo? Un ospedale? una corte di giustizia? La maggioranza del mondo scientifico? Qui sembra azzerata la libertà di cura (o di provarci – ripeto sempre in marito medico-). Dico “sembra” perché nel procedere degli eventi non tutto è chiaro. Vero, anche io ho colto che la famiglia non è “pro-life” tout court, ma piuttosto decisa a “provare” la cura americana (dalla sentenza si desume questa posizione). In ogni caso altro emergerà e cercheremo di capire meglio.”

    Sono d’accordo in principio, non necessariamente nel caso specifico.
    Nel caso specifico, i genitori hanno proposto il trattamento in US (mi sembra a dicembre). L’ospedale li ha presi seriamente, nonostante i dubbi, e ha verificato questa strada applicando per l’autorizzazione al proprio Ethics Committee e verificando anche la possibilita’ di fare fare il trattamento al bambino al GOHA stesso. Il bambino e’ poi peggiorato significativamente mentre l’Ethics Committee e i medici, fatte altre verifiche – anche con il medico US – hanno concluso che i rischi erano piu’ grandi dei benefici ormai.
    I genitori non hanno proposto ulteriori opzioni e anche la Dichiarazione sull’Eutanasia dice, in merito all’accanimento, che (grassetto e quadre mie):
    “È anche lecito interrompere l’applicazione di tali mezzi, quando i risultati deludono le speranze riposte in essi. Ma nel prendere una decisione del genere, si dovrà tener conto del giusto desiderio dell’ammalato e dei suoi familiari, NONCHE’ del parere di medici veramente competenti; COSTORO [i medici] potranno senza dubbio giudicare meglio di ogni altro se l’investimento di strumenti e di personale è sproporzionato ai risultati prevedibili e se le tecniche messe in opera impongono al paziente sofferenze e disagi maggiori dei benefici che se ne possono trarre.”
    In questo caso i genitori e medici non si sono trovati d’accordo sulla valutazione di merito sul trattamento e sono andati in corte. La corte – che secondo me non e’ completamente assurdo assimilare al caso salomonico – ha verificato che tutti i controlli dei medici sono stati ‘corretti’ e ha pure sentito svariati esperti internazionali di altri ospedali. E ha concluso che i costi (non in senso monetario, come la Rigoli pure sottolinea, ma in senso ‘fisico’) per il bambino erano significativamente piu’ alti dei benefici attesi.
    [Teniamo anche conto – spesso lo si dimentica – che, essendo una malattia degenerativa e terminale, il bambino ha continuato a peggiorare, durante i gradi di giudizio – che poi e’ gran parte della ragione per cui ora e’ molto improbabile che lo spostino. In questo senso, la stragrande maggioranza delle foto che girano sui giornali sono VECCHIE e non aiutano. Di foto nuove c’e’ solo una di, credo ieri, dove il bambino e’ quasi completamente coperto mentre le foto vecchie lo presentano anche scoperto, e una di un paio di settimane fa sul tetto dell’ospedale. Ma per commentare questa foto bisognerebbe condividere informazioni specifiche, che mi rifiuto di fare su un canale aperto come un blog]
    Se il diritto dei genitori fosse assoluto, a prescindere dai medici, avremmo un cortocircuito ‘cattolico’ perche’ allora avrebbe avuto ragione Beppino Englaro e casi similari, dove si assolutizza l’autodeterminazione del paziente/genitori. In questo caso, peraltro, andando in corte i genitori hanno passato la patria potesta alla corte (un po’ come il caso salomonico). Inoltre – ed e’ gia’ iniziato – possiamo aspettarci ora una serie di casi nell’altro senso dove i genitori si lamentano dei medici che NON gli permettono di staccare la spina.
    Primo caso di oggi: http://www.dailymail.co.uk/femail/article-4667456/Holly-Willoughby-cries-tragic-phone-story.html
    Guarda caso dove? Nel Daily Mail (usato pure dalla Bussola Quotidiana come fonte autorevole… tristissima cosa).
    Sottolineo che media che fino a ieri sono stati pro-eutanasia – e che lo saranno pure da ‘domani’, sono incredibilmente sospetti per una posizione apparentemente pro-life qui.
    Chi sostiene – come Sgreccia nel suo punto 10 (http://www.lastampa.it/2017/07/02/vaticaninsider/ita/documenti/sgreccia-i-punti-critici-sul-caso-del-piccolo-charlie-gard-njq9Y7Ujoj1XD44OQC74FK/pagina.html), in un intervendo pieno di inesattezze e anche falsita’, come la sospensione dell’alimentazione/idratazione, che non e’ mai staa in discussione– che c’e’ ambivalenza in un senso, dovrebbe chiedersi se non ci sia ambivalenza anche nel senso opposto, cioe’ in come le forze pro-morte siano usando questo caso a loro favore. E infatti ci possiamo aspettare che verra’ usato per sostenere il testamento biologico con l’assolutizzazione dei diritti dei genitori. In senso ‘escatologico’ non e’ un caso che il tritacarne mediatico stia avvenendo in Italia principalmente.
    Rimane aperta la domanda sul trattamento sperimentale anche per i benefici scientifici.
    I genitori – che non si sa bene, ma dalle interviste non e’ che siano ‘pro-life’ nel senso che gli attribuiamo noi – hanno detto che (parafraso) “anche se sappiamo che difficilmente ci saranno benefici per Charlie, almeno aiuteremo la scienza” (teniamo conto della pressione mediatico-legale dietro a questi due giovani appena trentenni).
    Primo: la corte (e la sentenza lo spiega abbastanza bene) ha valutato anche l’ipotesi dei benefici scientifici – che la Dichiarazione per l’Eutanasia prevede come possibilita’ per “dare esempio di generosità per il bene dell’umanità.” La corte, di nuovo, ha concluso nel merito, dopo tutte le verifiche, che i costi erano significativamente maggiori dei benefici per il bambino, con probabilita’ di sofferenze significative ulteriori e rischi fino alle mutazioni genetiche (tutto in sentenza).
    Secondo: se questo diritto dei genitori ‘di provarci lo stesso per fini scientifici’ fosse assoluto avremmo un altro cortocircuito ‘cattolico’. I medici hanno giudicato che, visti i costi significativamente maggiori dei benefici, far fare il trattamento US – che NON e’ una cura – sarebbe stato, di fatto, equivalente ad usare il bambino come cavia umana per un trattamento NON sperimentale in senso stretto, ma – per questo gene, che e’ diverso da quello degli altri casi messi dentro lo stesso calderone dalla stampa – mai provato neanche sui topi. Allora… embrioni no, bambini ancora vivi si? Nonostante il parere contrario dei medici, senza benefici neanche ipotetici se non il prolungamento temporale della sofferenza, aumentata dal trattamento stesso, per un periodo molto limitato?
    Penso che Colombo, dicendo ‘oltre un certo punto non si puo’ andare nel giudizio’ sia pienamente condivisibile.

    “Permettimi però un paio di appunti anche a me. La sentenza integrale, seppure in inglese, io l’ho trovata pubblicata da un giornalista cattolico, un caro amico – Paolo Facciotto-, nel suo blog. Quindi l’accusa ai giornalisti cattolici la trovo ingenerosa (sei certo che quelli laici l’abbiamo letta con attenzione?).”

    Facciotto non lo conosco per cui non mi esprimo, ma ha postato la sentenza il 2 Luglio.
    Le sentenze, tranne l’ultima della Corte Europea, sono pubbliche e disponibili da Aprile sul sito dell’ospedale:
    http://www.gosh.nhs.uk/frequently-asked-questions-about-charlie-gard-court-case
    http://www.bailii.org/ew/cases/EWHC/Fam/2017/972.html
    TUTTE le testate italiane cattoliche che si sono espresse riportando notizie parziali, spesso distorte, e in troppi casi false, senza neanche a) fare fact checking dei dati pubblici SUL SITO DELL’OSPEDALE (mica nascoste nell’etere…); b) fare fact checking con le comunita’ cattoliche inglesi – incluso di CL, – nonostante il giudizio dei Vescovi UK (http://www.catholicnews.org.uk/Home/News/Charlie-Gard – poi ripreso dalla Pontificia Accademia per la Vita qualche giorno fa) che e’ del 1 maggio; e’ esente da responsabilita’ gravi in questo caso. E’ il loro lavoro contribuire alla ricerca della Verita’, non creare confusione ove pure le notizie sono disponibili agilmente.
    Ancora adesso si leggono interviste assurde come quella di Tempi al genetista che basa tutto il suo ragionamento sulla ‘mancanza di terapie’ oltre a ventilazione piu’ alimentazione e idratazione (le ultime due non sono terapie), quando NON e’ vero. O quella recente su Rimini 2.0 Raffaeli (completamente disinformato, ed e’ pure uno che avrebbe le competenze per capire il quadro clinico).

    “La tracheotomia è una richiesta di qualcuno che la vede come alternativa per la prosecuzione della vita del bimbo (così mi pare di aver letto) ma non è stata affermata come stato di fatto, se non forse per leggerezza di espressione. Se non erro Charlie ha un sondino nasale, giusto? (ma medico non sono). È un aspetto che mi sembra tecnico e meno influente, posto che hai ragione affinché la precisione sia rispettata, ma qui la cosa è così complessa che qualcosa può sfuggire.”

    La tracheotomia e’ stata valutata dai medici a fine novembre e giudicata ulteriormente dannosa e inutile. La madre di Charlie gia’ si lamentava su facebook di questo mi sembra il 1 dicembre.
    E’ tutto in sentenza.
    Possiamo ragionare sull’ipotesi per assurdo tipo ‘se gliel’avesso messa al tempo magari poi lo potevano trasportare’ (come sembra suggerire qualcuno, ma e’ un’ipotesi assurda se assumiamo che i medici abbiano agito al meglio delle loro competenze e coscienza a novembre. E inoltre il bambino ha continuato a peggiorare. Con i se e i forse non si prendono decisioni – peraltro molto importanti – in tempo reale.

    “Infine occorre tornare a porre lo sguardo su quella segreta e decisiva relazione che c’è tra genitori e figlio. La rottura di questa è forse la cosa più straziante e rispetto alla quale la legge inglese (ancor più che europea) mi sembra stia dimostrando carenze. Ma parlo al condizionale perché è mia intenzione capire meglio. Che si spezzi questo legame vitale è una sconfitta di tutti. La lettera di Prosperi e Corsi (che link alla fine) su questo è davvero importante e l’esperienza della Parravicini indica un respiro diverso. Ma grazie di cuore del tuo intervento. Peraltro avverto che condividi il senso di terribile strazio che una vicenda del genere fa nascere rispetto all’impossibilità di sconfiggere la morte…”

    I giudici hanno valutato attentamente anche le informazioni ‘personali’ che i genitori riportavano sulla reattivita’ del bambino. Ci dobbiamo fidare – di nuovo Colombo e’ spot on – che tutti i medici e i dati scientifici riportati che dicono il contrario non l’abbiamo fatto per ‘nascondere’ la verita’, perche’ lo strazio dei genitori e il tritacarne mediatico/legale hanno certamente un effetto anche psicologico sui genitori stessi. Informazioni di corridoio (credibili per quanto mi riguarda, ma puoi chiedere alla tua amica londinese, visto che gli amici sono gli stessi) sostengono che mai nessuno degli operatori – che pure loro hanno vissuto centinaia di ore con il bambino – ha mai avuto riscontro sulle percezioni dei genitori.
    Avrei altri rilievi sugli interventi di Prosperi & co, che si sono svegliati tutti dopo mesi di silenzio non a caso, ma non li voglio fare pubblici.
    Il dolore per questo bimbo e per i genitori, ma anche per i medici e tutti quelli coinvolti, e’ reale. Penso che la morte, pero’ sia l’anticamera della vita, per cui, come ho scritto il 29 giugno (e la tua amica lo ha visto):
    “Il contributo piu’ grande che i cattolici potrebbero dare al piccolo Charlie e ai suoi genitori sarebbe un fiume di testimonianze di esperienze di letizia di fronte alla sfida infinita di un figlio che viene richiamato dal Signore. Invece c’e’ un fiume – disinformato da una ragione addormentata – di ‘sono d’accordo / non sono d’accordo’ – che serve solo ad annebbiare pure la fede, perche’ progressivamente si perdono pure le ragioni per capire nel concreto non solo il Catechismo sull’eutanasia, ma anche sull’accanimento terapeutico (art. 2278 e 2279), ambedue lati della stessa medaglia – la pretesa di controllare la vita e la morte. I miracoli ‘medici’ sono sempre possibili e vanno domandati fino all’ultimo respiro, ma miracolo piu’ grande e’ la compagnia di Dio presente. La tragedia piu’ grande di questa storia e’ la solitudine dei genitori, per cui bisogna pregare.”

    In questo senso, oltre alla Parravicini e la Rigoli, secondo me il contributo piu’ bello e profondo dato finora e’ il seguente:
    https://mauroleonardi.it/2017/07/05/lettera-di-valeria-bertilaccio-lalleanza-e-il-miglior-interesse-del-paziente/

    Bisognerebbe innondare il mondo di queste testimonianze, non andare dietro a cio’ che crea confusione nella Chiesa ed e’, per definizione, diabolico.

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    • Grazie mille Alex. Tutto molto utile per capire. Concordo sull’innondare il mondo di quanti “miracoli medici” accadono e nel mio articolo ne ho fatto qualche esempio (Parravicini). Questa la vera battaglia. Sul resto vediamo ora gli sviluppi. Teniamoci in contatto se vuoi!

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  7. PS: mi scuso per l’incredibile numero di errori sia di grammatica che di battitura nel post precedente… ma l’ho scritto un po’ di getto e il sistema non permette l’editing.

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  8. Buonasera Prof!
    Come già (ampiamente) “discusso” (la definirei più una conversazione costruttiva) mi trova in disaccordo su diversi punti. Vorrei però limitarmi a rimanere su un piano scientifico della situazione (per quanto sia possibile), analizzando quindi i fatti per quello che sono.
    Partiamo dall’inizio. La mutazione del bambino (che interessa esattamente il gene RRM2B -https://ghr.nlm.nih.gov/gene/RRM2B- ) porta a Sindrome da deplezione del DNA mitocondriale.
    I mitocondri altro non sono che la centrale energetica delle cellule e contengono al loro interno il DNA mitocondriale, che fornisce (tra le altre cose) anche le informazioni per il corretto svolgimento della fosforilazione ossidativa (che è poi il processo attraverso il quale si forma l’energia). È ovvio allora che se viene a modificarsi uno di questi preziosi geni le conseguenze sono disastrose: basti pensare infatti che proprio per il ruolo ricoperto dai mitocondri (centrale energetica) un’eventuale alterazione colpisce i tessuti a più alta richiesta di energia, come muscoli ed encefalo.
    Nel caso specifico di Charlie Gard c’è infatti un gravissimo danno cerebrale (dovuto anche agli attacchi epilettici -che si manifestano tra l’altro nella fase terminale della malattia-), accompagnato da debolezza muscolare, per cui è necessaria ventilazione artificiale, e da danni a udito, cuore, fegato e reni ( http://www.gosh.nhs.uk/news/latest-press-releases/gosh-statement-potential-supreme-court-appeal).
    Ora, era stato inizialmente prospettato un possibile trattamento (Nucleoside Therapy) negli USA, annullato dopo l’ennesima crisi epilettica che ha danneggiato l’encefalo del bambino fino ad un punto di non ritorno. Ci tengo particolarmente a sottolineare questo punto, perché ho letto un po’ troppi insulti a medici e personale ospedaliero (spesso da persone che non hanno una minima idea di ciò di cui si parla), quando l’interesse di tutti è ovviamente il benessere del bimbo.
    La Corte Europea ha interrogato medici e specialisti che hanno avuto in cura Charlie, e TUTTI sono d’accordo nel dire che la terapia risulterebbe futile: non porterebbe quindi a miglioramenti nella qualità di vita o anche solo alla palliazione della condizione. Anche il medico statunitense ha ammesso che sarebbe un intervento inutile e che protrarrebbe solamente le sofferenze di Charlie ( la sua terapia tra l’altro non è mai stata testata su topi che presentano la stessa mutazione, figuriamoci su umani; mi sembra chiaro che in questo modo si farebbe del bimbo nient’altro che una cavia).
    Mi ritrovo particolarmente nelle parole della Dr.ssa Rigoli quando afferma che occorre distinguere tra eutanasia e sospensione della terapia per non cadere nell’accanimento. Se i danni che il trattamento provoca superano i benefici ci si ferma. È un male non necessario e ingiusto.
    Siamo tutti d’accordo che la Scienza e la Medicina abbiano fatto passi da gigante, ma quello che è difficile accettare è che non abbiamo risposte a tutto e purtroppo non possiamo salvare tutti. Quello che questa vicenda mi ricorda è che il limite c’è (e me ne rendo conto spesso) e, per quanto sia difficile farsene una ragione, è parte di noi.
    Concludo dicendo che penso che “staccare la spina” (la stessa spina che hanno attaccato i medici) sia in questo caso un gesto d’amore, di sicuro doloroso e difficile, ma sempre amore è.
    Un abbraccio!

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    • Grazie Ghiuldjihan per la tua lucida analisi. (E per i dubbi che hai sollevato dall’inizio, che mi hanno aiutato ad approfondire). Rimane aperta una voragine, su questo so che sei d’accordo. Sul tema specifico e tecnico le tue argomentazioni sono interessanti.

      Rispondi

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