La “felice” società degli uomini soli: la teoria svedese dell’amore

È uscito ieri, 22 settembre, in alcune sale italiane, una decina in tutta la nazione, un conturbante film-documentario di Erik Gandini, video maker bergamasco che da decenni vive in Svezia e assai noto per il suo Videocracy, dedicato all’Italia berlusconiana, film che fece assai discutere.  Ma sono numerosi i suoi docufilm che hanno destato clamore (Raja Serajevo, Gitmo, Surplus) e che allo tesso tempo gli hanno portato riconoscimenti e notorietà.

L’ultimo lavoro di Gandini si intitola La teoria svedese dell’amore. Se l’edizione integrale è in proiezione a partire da oggi nelle sale, Rai 3 ne ha pubblicato una riduzione (assai ampia -60 minuti-) che permette perfettamente di entrare all’interno di questo viaggio nel cuore del paese “più civile del mondo”. Un viaggio surreale e decisamente conturbante. Un viaggio in un sogno, un’utopia, che si rivela un incubo.

È davvero istruttiva, e allo stesso tempo emotivamente intensa, la visione del film (non più disponibile sul sito della RAI il film è rintracciabile qui).  In questo docufilm  non si parla solo di Svezia, ma si tratta del nostro futuro, o meglio di come qualcuno vorrebbe si trasformasse il nostro futuro.

Gandini, in intervista,  ammette che il film è a tema, che non è espressione di tutto ciò che è la Svezia (come Videocracy per l’Italia, d’altronde) ma quanto egli documenta è fondato su dati statistici inoppugnabili ed esperienze reali.

Di che si tratta?

In sostanza un progetto politico esplicito, nato nel 1972, ha inteso fare della società svedese la società degli individui che non abbisognano di appartenere a nessuno e che dunque, negli intenti, possono vivere assolutamente liberi e “liberati”. Finalmente rapporti autentici, in quanto liberi e non costrittivi. Liberare i genitori anziani dalla necessità di dipendere dai figli, liberare i figli dai genitori, le donne dagli uomini… sfaldare lo stesso bisogno del partner da parte delle donne per la procreazione, (decisamente ironica la riflessione su quella che dovrà essere la funzione del maschio nel futuro, descritta in una banca del seme e che potete ben immaginare). la-teoria-svedese-dellamore2

Tuttavia l’esito di questo progetto politico-sociale è, ad oggi, una solitudine generalizzata, che assume tratti parossistici, descritti, come si diceva, con ironia ed un sarcasmo agghiacciante, senza perdere mai i tratti di un realismo che rende la visione ancora più drammatica. L’ufficio che si occupa del ritrovamento delle relazioni di persone anziane morte e dimenticate nei loro appartamenti, la descrizione di donne e uomini che non hanno alcuna intenzione di complicarsi la vita con una relazione,  di immigrati che sono strappati dai loro valori e cultura, è decisamente significativa. Questa società, che al contrario della nostra italica, funziona (accoglie, integra, provvede, razionalizza), svela una dimensione oscura.

L’impressione che avvolge lo spettatore è quella di essere in un film di fantascienza (sembra di vedere certi film per la televisione degli anni ’70) dove si descrive una società utopica e irrealizzabile. Invece è realtà  in Svezia. Ma di più. Con chiarezza si  riconoscono le direzioni che taluni dibattiti anche nostrani, consapevolmente o meno, vogliono imprimere alla società.

Si comprende bene come la questione delle famiglie omosessuali, recentemente così dibattuta in Italia,  oppure la battaglia per la procreazione assistita, siano veramente un tassello di una vicenda ben diversa. Tant’è che anche un filosofo “allievo indipendente di Marx” e neohegeliano, come egli stesso si definisce, quale Diego Fusaro, ha preso decisa posizione in contrasto ai cosiddetti “nuovi diritti” (si vedano questi due video: video 1; video2), pur all’interno di una sua generale visione di contestazione radicale della società del capitale, quale società dell’ideologia, omologata e totalizzante, del mercato (in cui non c’è posto per la famiglia, ma solo per individui atomizzati).

Il film di Gandini ha il merito di traslare viete discussioni di basso profilo sul cuore della questione. Lo scontro tra cattolici tradizionalisti e laici progressisti, così come spesso si configura, non ha alcun senso di esistere e presenta in sostanza, quale esito coerente, un obiettivo nichilista, come ben descritto nei fotogrammi del documentario.  Due poli dialettici che non conoscono la vera battaglia in corso.

La vera battaglia è quella di una resistenza ad un individualismo fondato sul vuoto (autofondativo nelle intenzioni), che si configura come una scommessa errata sull’uomo, una deriva illusoria della libertà. Una prospettiva strisciante e apparentemente vincente, capace di avanzare all’interno dei vari fronti contrapposti, attraverso l’annientamento delle dimensioni più autentiche dell’uomo e che ha certamente come ignari alleati, più o meno zelanti propugnatori di diritti che diritti non sono, ma al contrario capestri in un cui rimanere imprigionati, come acutamente osserva Fusaro. È una lunga storia, che va avanti dai tempi del divorzio e dell’aborto.

Certamente nel film l’antagonismo a questa deriva, sembra non esistere, se non vagheggiando una società primordiale e naif, simbolo tuttavia di una inesorabile resistenza dell’uomo a progetti ideologici così massivi.

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Il filosofo e sociologo polacco Zygmunt Bauman

Tuttavia il valore di provocazione del filmato è notevole, e l’intervento finale del filosofo Zygmunt Bauman ne segna la profondità. Dopo alcune analisi sulla vita online e offline, Bauman conclude: «La felicità non viene da una vita senza problemi, ma dal superamento delle difficoltà. L’indipendenza non è la felicità; alla fine porta ad una completa, assoluta, inimmaginabile noia.»

Tra le numerosi provocazioni e suggestioni, vorrei presentarne tuttavia una fortemente positiva che ho percepito con chiarezza, accanto alle altre, durante la visione del film.

Il progetto nichilista non vincerà.

Per quanto forti siano le spinte del potere, per quanto gravi le confusioni in cui è caduta la nostra società, con le sue sirene devastanti, la bellezza della famiglia e di rapporti solidi, il bisogno di comunione tra gli uomini, di impastarsi l’uno nell’altro (tutti valori che in qualche modo, talora assai imperfetto, la nostra società mediterranea ha sempre mantenuto vivi) non potranno non tornare ad affascinare l’uomo.

Nel film è palese. La società degli uomini soli è troppo brutta perché prevalga definitivamente, e soprattutto perché si possa realizzare da noi, sud dell’Europa, così immersi nella bellezza come siamo.

Nel frattempo tuttavia, ci aspettano tempi duri, in cui la buona battaglia sarà, ancor prima che innescare rabbiosi scontri contro  mulini a vento e falsi obiettivi,  dimostrare che si può vivere diversamente. Da subito.

La bellezza va inseguita ed amata. Questa è la nostra arma e la nostra vittoria contro il nichilismo.

1 commento su “La “felice” società degli uomini soli: la teoria svedese dell’amore”

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