Un solo respiro, quello della Misericordia: la carta d’identità di Dio (R. Brague), le viscere di Dio (Carron)

Prendo spunto dall’ascolto della video-intervista a Elisa Grimi, che Radio radicale ha realizzato ieri, domenica, dal salone del libro di Torino per tornare su di uno dei temi per me più intriganti  del momento storico che stiamo vivendo. Si parla del testo scritto da Remi Brague, con cui la stessa Grimi ha collaborato per la stesura, dal titolo  Contro il cristianismo e l’umanesimo. Il perdono dell’Occidente, ed. Cantagalli.

La riproponiamo qui, a fondo pagina, perché tocca tematiche (appena sfiorate invero in 30 minuti di trasmissione) che sono al cuore della storia, storia dell’umanità e storia di ognuno. Un “cuore” che diventa vicenda decisiva e che, sempre più chiaramente, emerge come in mano alla decisione responsabile e personale di ognuno. L’Europa, l’umanità, la chiesa, ma più in generale un bene per l’uomo, non nasceranno infatti da sistemi e da scelte politiche, ma dall’intrapresa di uomini nuovi, come comprendono in tanti ma a cui credono in pochi. Tra i pochi in cui realmente vi credono, vi è certamente il medico Alberto Reggiori, da me intervistato pochi giorni fa (davvero un piacevole incontro), che sabato sera, durante la stupenda serata musicale del Novelli dedicata ad AVSI, ha individuato il cuore dell’intera attività di AVSI, in questo: “puntiamo sulle persone che incontriamo, perché siano esse stesse protagoniste di una rinascita delle loro terre”.

È quanto richiamato continuamente dentro l’esperienza di chi segue don Carron, nei suoi ultimi anni di conduzione del movimento ecclesiale di CL (personalizzazione della fede). Come ai tempi di don Gius, semplicemente seguendo gesti di una comunità (alcuni proprio semplici, altri decisamente imponenti), ci si ritrova dentro il cuore della storia.

Avevo già scritto intorno alla univocità, nei differenti timbri espressivi, di personalità come Wojtyla, Ratzinger, Bergoglio ed anche tra quelle di Giussani e Carron. Agli esercizi è stata seguita proprio l’intervista a Benedetto XVI da cui traevo le mie riflessioni, in buona parte coincidenti con quanto poi delineato a Rimini, in particolare quando la misericordia è stata identificata con le “viscere stesse di Dio”.

Ma don Carron ha spinto ancor oltre, e genialmente, il discorso, mettendo in luce come don Giussani abbia raccolto la sfida contemporanea sul male, ovvero quel richiedere a Dio di giustificarsi per il male nel mondo dopo le tragedie del Novecento (alla radice dell’indifferentismo religioso), prendendola così sul serio da farla diventare metodo, accettando in questo modo pienamente la sfida che la realtà gli poneva innanzi. In lui è diventata la necessaria, e non opzionale, verifica nell’esperienza della fede («Una fede che non potesse essere reperta e trovata nell’esperienza presente, confermata da essa, utile a rispondere alle sue esigenze, non sarebbe […] una fede in grado di resistere in un mondo dove tutto, tutto, […] dice l’opposto» – Il Rischio educativo-). Don Giussani ha contribuito in questo modo, in maniera originale (ed esistenzialmente decisiva per migliaia di giovani), al percorso fatto dalla Chiesa negli ultimi 40 anni, percorso tutto volto a rendere oggi, – in un mondo che è come è, senza pretesa né timore di evitarne la sfida – vivo ed esperibile il cuore del Cristianesimo, ovvero la Misericordia del Dio che si piega sull’umanità per sollevarla dall’atroce vuoto che si apre di fronte la domanda filosofica – ed esistenziale – cruciale. Quella che un mio alunno esprimeva un paio di settimane fa con forza a me e a un gruppetto di suoi coetanei, intenti a discutere – davanti a qualche pizza e piatto di sushi – di filosofia: “Ma stiamo ragionando di cose inessenziali. Io voglio sapere qual è la ragione per vivere. Ma voi perché vivete?”.

Il Cristianesimo intende essere semplicemente  la risposta, appassionata e commossa, dimessa e discreta, trepidante direi, di Dio stesso a questa domanda.  Non ha altro senso di esistere (non per costruire nuove Civitas, né per difendere diritti… il che è piuttosto imponderabile conseguenza)  se non nel porsi quale risposta a questa domanda.

Elisa Grimi, nell’intervista mette in luce qui lo scacco dell’ateismo (tesi portata avanti proprio da Remi Brague), citando Sartre. Un uomo che si stupisca di quale meraviglia sia uomo, è pur sempre un uomo. Dunque nulla da stupirsi che egli si celebri in siffatto modo. Obiezione che si ritrova tale e quale in Verità e Menzogna di Nietzsche, che descrive l’uomo come un essere patetico nell’universo, in quanto, destinato a scomparire dopo pochi attimi, si considera pur tuttavia al centro del cosmo. Ebbene, dice la Grimi seguendo Brague, questa posizione non può spiegare in alcun modo perché la vita sia un bene. Oggi non si può procedere, finita l’inerzia di una civitas oramai alle spalle,  senza rispondere a questa domanda, che poi è proprio quella che il mio alunno, acutamente, riproponeva, inconsapevole forse del fatto che aleggia dentro il dibattito filosofico oggi più serio e “di frontiera” (ovvero quello ben lontano dai festival filosofici a la page).

Se l’ateismo è stato tragicamente sconfitto, il cristianesimo non può evitare di confrontarsi con la stessa domanda, individuando nell’oggi, e non in una dottrina del passato, la risposta.

Siamo tutti dentro questa battaglia, appassionante e di portata epocale. Rifiutarla, per fermarsi a qualcosa di meno – sia un proprio particolare valore da sostenere, o un proprio personale punto di vista legato al passato, o altro ancora, sarebbe perdersi il meglio del nostro tormentato tempo.

 

P.S.:  questo articolo è un inno alla domanda – aperta e straziante, priva di risposte che non passino dalla propria unica e irripetibile esperienza personale, e dunque mai schematiche, mai ideologiche, né predefinite- dei miei studenti a cui va la mia più forte e viva gratitudine per averla posta e continuare a porla in ogni istante, pur in forme talora conturbanti!

 

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