AVSI 2018: una casa per tutti

 

Lorenzo Franchi

In attesa del concerto del Coro Popolare di sabato prossimo, abbiamo intervistato Lorenzo Franchi, responsabile della Campagna AVSI 2018, ovvero la raccolta fondi che permette di sostenere ben 149 progetti sparsi in 30 paesi del mondo.

Con lui vogliamo capire meglio le ragioni di un impegno divenuto così esteso  e tale da riguardare  un numero sempre crescente di volontari.

Lorenzo partiamo dal tema che avete scelto quest’anno. La casa.  Perchè?

L’idea di casa che stiamo raccontando non è solo un luogo fisico, ma un luogo dove una persona si può sentire accolta, guardata, curata se ne ha bisogno. Intendiamo tutti quei luoghi dove una persona può intrecciare relazioni. È la casa intesa come dimora, come luogo in cui trovare se stessi. Questo concetto si presta bene come “ombrello” che raccoglie i vari progetti che sosteniamo quest’anno: il progetto della Luigi Giussani High School di Kampala, l’asilo di Qaraqosh, Portofranco in Italia e  gli “ospedali aperti” in Siria. È decisamente interessante, in tal senso, quanto dice in un video girato a Kampala, all’interno del quale un prof. della scuola afferma: “chiunque viene qui si sente a casa”, concetto ribadito da un ragazzo, durante l’inaugurazione dell’anno della scuola. Cerimonia importante con studenti, famiglie, i prof., autorità, e prende la parola Odong, uno studente, dicendo “questa non è una scuola” e si interrompe. Istanti di silenzio, tra il terrore degli insegnati che hanno pensato “chissà cosa dirà adesso!
Poi prosegue: “questa non è una scuola, perché questo posto è casa mia. Qui infatti sono atteso, guardato e amato in ogni istante. È per questo che al mattino non cammino ma corro per venire qui.” 

Notevole. Vogliamo fare una panoramica sugli altri progetti sostenuti questo anno?

Partiamo dalla Siria. In un paese straziato dall’odio, ridotto in poco tempo a condizioni inimmaginabili tra cui l’emergenza sanitaria che è altissima (si parla di 11 milioni e mezzo di persone che non hanno possibilità di curarsi), nasce nel 2016, grazie alla sollecitazione del nunzio apostolico Mario Zenari, il progetto Ospedali aperti. È un progetto che porterà cure a 40mila persone. Già quest’ anno abbiamo curato 4mila persone. Una goccia nell’oceano, ma accogliere gratuitamente tutti (vi sono ospedali funzionanti, ma a pagamento e le persone non possono accedervi), senza distinzione di credo (accogliamo cristiani, sunniti, sciiti…) o di provenienza, è una grande rivoluzione in un paese connotato dall’odio.

Ospedali in Siria (clicca sull’immagine per leggere maggiori informazioni)

 

In particolare l’intervento su cosa verte?

Abbiamo potenziato tre ospedali, con macchinari, strumentazioni, strutture. Abbiamo istituito un ufficio per valutare i casi di più forte urgenza e di reale bisogno (verificando che siano veramente persone prive di risorse). Ospedali aperti accende una speranza, perché fa capire che si può essere accolti per quello che si è, senza alcun retropensiero o interesse.  In un paese dilaniato per ben 7 anni da una guerra che nasce da pretesti religiosi, la nostra presenza fa comprendere che ci può essere un modo diverso di vivere.

Passiamo all’asilo di Quaraqosh.

L’asilo di Qaraqosh (clicca per maggiori informazioni)

Qui è particolarmente evidente il concetto di casa. Liberata la città dall’ISIS, i 50mila profughi che in tempi rapidissimi erano dovuti fuggire nel 2014, ora possono tornare. Ma tutto è da ricostruire. La prima cosa che hanno chiesto è stato di costruire un asilo per i propri figli, sulla scia dell’esperienza entusiasmante vissuta nei campi profughi, dove avevamo iniziato un’esperienza simile. È lì, nei campi profughi di Erbil, che li avevamo incontrati. Offrivamo loro la prima assistenza ma poi è nato un asilo di 150 bambini. E’ da quella esperienza che hanno voluto ripartire. L’asilo è cresciuto fino a raggiungere 400 bambini. E’  l’unico funzionante ed è il centro, il volano, della rinascita della città.
L’obiettivo è quello di ricostruire l’umano, cosa ben più difficile (e importante) che non ricostruire gli edifici.

Portofranco invece opera in Italia…

Portofranco, aiuto gratuito allo studio (clicca per maggiori informazioni)

Portofranco, la rete di docenti che aiuta gratuitamente ragazzi in difficoltà con lo studio, sta incontrando centinaia e centinaia di stranieri. Sta diventando cioè uno strumento di integrazione eccezionale, un luogo dove italiani e stranieri, alunni e docenti, si incontrano e si riconoscono nel bisogno di crescere, di imparare un metodo, di trovare un terreno comune. Portofranco sta facendo molto per l’integrazione.

Tornando all’Uganda, la situazione come si configura?

La “Luigi Giussani High School” di Kampala (clicca per maggiori informazioni)

La situazione è di grande povertà. L’Uganda accoglie un milione e cinquecentomila profughi del Sud Sudan, dove una guerra che si sta protraendo dal 2013 ha già causato 50mila morti. Un paese duramente provato, che vede AVSI presente da tanto tempo. Qui fortissimo è il rapporto con Rose Busingye, l’infermiera che ha costituito un centro di assistenza per donne ammalate di AIDS a Kampala.
La Luigi Giussani High School, l’hanno voluta loro per i propri figli, perché rinate in un rapporto personale con Rose hanno voluto che per i loro bambini potesse aprirsi una speranza, ovvero la possibilità di vivere la bellezza della vita che hanno cominciato ad assaporare.  (si veda integralmente il video linkato sopra, dove Rose interviene più volte). 

Senza dubbio, in questo mare di bisogno, l’opera di AVSI è una goccia…

AVSI i progetti e la diffusione nel mondo

Certo, e vorremmo fare molto di più, avere molte più risorse. Ma non è questo il punto. AVSI intende educare le persone. Ogni intervento tende a generare una novità in chi ci incontra così che questa vita nuova possa poi dilatarsi. La sfida è la possibilità di far crescere dei soggetti vivi, nelle zone del mondo disastrate ma anche qui in italia.
È una sfida, dunque, che riguarda ognuno di noi. Riguarda anche il semplice volontario che aiuta la campagna con un’iniziativa come le tante nate a Rimini, tra cui quella del Coro.

Cosa significa per te lavorare in AVSI?

Oltre ad essere una professione, AVSI per me è un luogo dove posso avere uno sguardo privilegiato sulla realtà.  È un lavoro che mi tiene aperto sul mondo intero.

Quanto sono importanti le iniziative come quella di sabato sera?

Esprimono bene questa azione corale, in cui ognuno ha un compito. Oltre a questo, ci forniscono risorse decisamente significative. Sono un migliaio i nostri sostenitori e, grazie a tutti voi, ci arrivano un milione e trecentomila euro. Con il sostegno a distanza sono assistiti 25mila bambini.  Sono dati importanti. Ma ancor più, con queste attività spesso così creative come la vostra, seminiamo un principio differente dentro la realtà che viviamo.
Dentro il bisogno di cura, di sviluppo, di educazione cerchiamo di far emergere quello che nel profondo sta a cuore ad ogni uomo. È su questo riconoscimento di un bisogno profondo che nasce e si costruisce una casa comune dove sentirsi pienamente accolti.