Proseguendo la riflessione sulla centralità della Misericordia per rispondere al dramma affettivo, esistenziale ed intellettuale del nostro tempo (giacché non si tratta di questione pietistica ma primariamente di ragione, intesa come natura dell’uomo), mi imbatto di nuovo nella figura del grande Giovanni Testori.
Già in un mio precedente articolo, primo di questa serie (primo articolo – secondo articolo), avevo riportato passi di Testori in cui egli stesso racconta la sua conversione in maniera estremamente pertinente al tempo attuale ed alla riflessione intrapresa.
Propongo qui questi due video appaiati.
Il primo è l’omelia di don Giussani alla sua morte (1993). La registrazione – purtroppo parziale ma probabilmente quasi integrale – parte con questa parola, perdono, quale chiave per comprendere la vita di Testori (“eri dominato da questa parola, perdono”). Le parole del Gius sembrano completamente immerse nell’attuale percorso della Chiesa e contemporanee all’uomo di oggi.
Il secondo è un servizio su di lui, in cui compare egli stesso mentre recita In Exitu. Realismo, bisogno, grido lancinante e urlo viscerale al destino, ma anche presenza di Uno che risponde: Cristo, il perdono realizzato e presente.
Credo che i due video si illuminino reciprocamente in maniera chiara e intensa.
Prendo spunto dall’ascolto della video-intervista a Elisa Grimi, che Radio radicale ha realizzato ieri, domenica, dal salone del libro di Torino per tornare su di uno dei temi per me più intriganti del momento storico che stiamo vivendo. Si parla del testo scritto da Remi Brague, con cui la stessa Grimi ha collaborato per la stesura, dal titolo Contro il cristianismo e l’umanesimo. Il perdono dell’Occidente, ed. Cantagalli.
La riproponiamo qui, a fondo pagina, perché tocca tematiche (appena sfiorate invero in 30 minuti di trasmissione) che sono al cuore della storia, storia dell’umanità e storia di ognuno. Un “cuore” che diventa vicenda decisiva e che, sempre più chiaramente, emerge come in mano alla decisione responsabile e personale di ognuno. L’Europa, l’umanità, la chiesa, ma più in generale un bene per l’uomo, non nasceranno infatti da sistemi e da scelte politiche, ma dall’intrapresa di uomini nuovi, come comprendono in tanti ma a cui credono in pochi. Tra i pochi in cui realmente vi credono, vi è certamente il medico Alberto Reggiori, da me intervistato pochi giorni fa (davvero un piacevole incontro), che sabato sera, durante la stupenda serata musicale del Novelli dedicata ad AVSI, ha individuato il cuore dell’intera attività di AVSI, in questo: “puntiamo sulle persone che incontriamo, perché siano esse stesse protagoniste di una rinascita delle loro terre”.
È quanto richiamato continuamente dentro l’esperienza di chi segue don Carron, nei suoi ultimi anni di conduzione del movimento ecclesiale di CL (personalizzazione della fede). Come ai tempi di don Gius, semplicemente seguendo gesti di una comunità (alcuni proprio semplici, altri decisamente imponenti), ci si ritrova dentro il cuore della storia.
Ma don Carron ha spinto ancor oltre, e genialmente, il discorso, mettendo in luce come don Giussani abbia raccolto la sfida contemporanea sul male, ovvero quel richiedere a Dio di giustificarsi per il male nel mondo dopo le tragedie del Novecento (alla radice dell’indifferentismo religioso), prendendola così sul serio da farla diventare metodo, accettando in questo modo pienamente la sfida che la realtà gli poneva innanzi. In lui è diventata la necessaria, e non opzionale, verifica nell’esperienza della fede («Una fede che non potesse essere reperta e trovata nell’esperienza presente, confermata da essa, utile a rispondere alle sue esigenze, non sarebbe […] una fede in grado di resistere in un mondo dove tutto, tutto, […] dice l’opposto» – Il Rischio educativo-). Don Giussani ha contribuito in questo modo, in maniera originale (ed esistenzialmente decisiva per migliaia di giovani), al percorso fatto dalla Chiesa negli ultimi 40 anni, percorso tutto volto a rendere oggi, – in un mondo che è come è, senza pretesa né timore di evitarne la sfida – vivo ed esperibile il cuore del Cristianesimo, ovvero la Misericordia del Dio che si piega sull’umanità per sollevarla dall’atroce vuoto che si apre di fronte la domanda filosofica – ed esistenziale – cruciale. Quella che un mio alunno esprimeva un paio di settimane fa con forza a me e a un gruppetto di suoi coetanei, intenti a discutere – davanti a qualche pizza e piatto di sushi – di filosofia: “Ma stiamo ragionando di cose inessenziali. Io voglio sapere qual è la ragione per vivere. Ma voi perché vivete?”.
Il Cristianesimo intende essere semplicemente la risposta, appassionata e commossa, dimessa e discreta, trepidante direi, di Dio stesso a questa domanda. Non ha altro senso di esistere (non per costruire nuove Civitas, né per difendere diritti… il che è piuttosto imponderabile conseguenza) se non nel porsi quale risposta a questa domanda.
Elisa Grimi, nell’intervista mette in luce qui lo scacco dell’ateismo (tesi portata avanti proprio da Remi Brague), citando Sartre. Un uomo che si stupisca di quale meraviglia sia uomo, è pur sempre un uomo. Dunque nulla da stupirsi che egli si celebri in siffatto modo. Obiezione che si ritrova tale e quale in Verità e Menzogna di Nietzsche, che descrive l’uomo come un essere patetico nell’universo, in quanto, destinato a scomparire dopo pochi attimi, si considera pur tuttavia al centro del cosmo. Ebbene, dice la Grimi seguendo Brague, questa posizione non può spiegare in alcun modo perché la vita sia un bene. Oggi non si può procedere, finita l’inerzia di una civitas oramai alle spalle, senza rispondere a questa domanda, che poi è proprio quella che il mio alunno, acutamente, riproponeva, inconsapevole forse del fatto che aleggia dentro il dibattito filosofico oggi più serio e “di frontiera” (ovvero quello ben lontano dai festival filosofici a la page).
Se l’ateismo è stato tragicamente sconfitto, il cristianesimo non può evitare di confrontarsi con la stessa domanda, individuando nell’oggi, e non in una dottrina del passato, la risposta.
Siamo tutti dentro questa battaglia, appassionante e di portata epocale. Rifiutarla, per fermarsi a qualcosa di meno – sia un proprio particolare valore da sostenere, o un proprio personale punto di vista legato al passato, o altro ancora, sarebbe perdersi il meglio del nostro tormentato tempo.
P.S.: questo articolo è un inno alla domanda – aperta e straziante, priva di risposte che non passino dalla propria unica e irripetibile esperienza personale, e dunque mai schematiche, mai ideologiche, né predefinite- dei miei studenti a cui va la mia più forte e viva gratitudine per averla posta e continuare a porla in ogni istante, pur in forme talora conturbanti!
Un concerto per crescere nella bellezza. Crescere tutti. Sia chi è protagonista dell’evento, ovvero il grande coro di giovani e meno giovani, nato dall’amicizia del gruppo musicale Amarcanto con l’associazione dei ragazzi di Open e quella delle famiglie de Il Ponte sul Mare. Sia chi sarà al Teatro Novelli sabato 14 maggio (domani) alle ore 21 (entrata a offerta libera) per ascoltarli in concerto. Canta per il mondo, darà saggio del loro repertorio proveniente da tutte le tradizioni musicali del mondo. Ma potranno crescere immersi nella bellezza di un percorso educativo all’altezza della dignità della persona umana anche i 10 ragazzi dell’Uganda che riceveranno, grazie a quanto verrà raccolto durante la serata, la possibilità di iscriversi presso la scuola Luigi Giussani a Kampala.
È questo uno delle decine di progetti curati da AVSI e sostenuto dalle tradizionali campagne annuali di raccolta fondi, di cui il momento di sabato sera – a cui non si può mancare – è un esempio nobile.
Tre anni di concerti, in un Teatro Novelli pieno di gente ed entusiasmo, prove, lavoro, rapporti che già lasciano assaporare una novità possibile fin da subito, fin nell’oggi, e che subito si spalanca sul mondo intero fino ad arrivare a Kampala. E non solo per interposta persona. I ragazzi che avranno il sostegno di cui dicevamo sono stati incontrati via web dagli amici del coro, come rivela Buongiorno Rimini. Non sono anonime “situazioni di bisogno” ma persone vere e vive, ora amici, con cui stringere una relazione. E le relazioni, se vere, cambiano le persone. Così i ragazzi ugandesi hanno risposto al grande coro riminese mettendo in piedi un loro coro, in un ribalzare di note, tra continenti, che ha dell’incredibile.
Ma a proposito di cambiare le persone, sabato sera ci sarà la possibilità di ascoltare anche la testimonianza di un protagonista di primo piano della straordinaria attività di AVSI. Si tratta del medico e scrittore Alberto Reggiori.
Lo abbiamo intervistato e le sue parole hanno fatto crescere in noi la curiosità di incontrarlo sabato sera. Ecco l’intervista.
Alberto ci spieghi come è nata la scelta di partire?
Eri sposato da soli due anni, immagino le cose da sistemare… e invece nel 1985 da Varese ti ritrovi in Uganda…
Tutto è nato dall’aver visto e incontrato alcuni medici missionari che in quegli anni spesso venivano a Varese a raccontare la loro esperienza. Poi ho visto partire miei amici e non ho potuto che provare una profonda invidia per loro. Testimoniavano una vita piena, vera, che ho desiderato vivere anche io. Quel desiderio, di cui mi chiedevo se fosse un mio pallino o qualcosa d più, è stato illuminato dalle parole di Giovanni Paolo II. Ad un’udienza (29 settembre 1984) che concesse alla Fraternità di Comunione e Liberazione, ci disse “Andate in tutto il mondo a portare la verità, la bellezza e la pace, che si incontrano in Cristo Redentore”. Lì capii che quel mio desiderio era una cosa seria. Ne parlai subito con mia moglie che era del tutto d’accordo e partimmo per l’Uganda. Avevamo già un figlio…
E non ti sei più fermato…
La permanenza in Uganda fu di dieci anni circa, ma tutt’oggi uso le mie ferie per andare nei diversi luoghi dove AVSI ha bisogno. Sono stato in Sud Sudan, Iraq, Haiti, Albania, Messico…
Quale il contributo più importante che il tuo partire, ma anche il nostro ben più semplice aiuto, può offrire a queste persone? Qual è il valore di quanto si sta facendo?
Attraverso le opere che si realizzano, quello che veramente è importante, e che può dare frutti, è portare una stima e una coscienza del valore di chi si incontra. Attraverso parole e gesti concreti noi stiamo dicendo a quelle persone che valgono, che sono importanti, che le stimiamo per il loro grande valore. Si potrebbe dire oggi, nell’anno Santo, che ciò che conta è portare uno sguardo di misericordia che faccia capire all’altro che ha un valore e ha capacità di vivere. Questo è ciò che fa rinascere le persone e le fa diventare protagoniste esse stesse, in prima persona, di una ricostruzione della loro terra martoriata.
In questi anni hai incontrato situazioni difficile e dolore sconfinato. Immagino che sia impossibile reggere tutto questo senza un “ricevere”, un imparare… Che cosa hai ricevuto da questa esperienza? E quanto ricevuto là, è vivibile anche qui italia?
Ho verificato di persona che la vita è qualcosa che si guadagna dandola, spendendola. È scritto nel Vangelo, ma posso dire di averlo verificato. Ognuno può verificarlo nella sua esperienza quotidiana. Se la vita la vivi per te, la chiudi in te, il tempo te la porta via. Invece se la doni, ti ritorna molto più potente. Posso dirlo di averlo verificato in termini umani, in mille rapporti.
L’incontro con Veronica è uno di quelli che ci porteremo sempre dentro, uno di quelli in cui capisci cosa è l’essenziale. Lei ha cominciato a venire da noi quando si è ammalata di AIDS. Aveva una storia terrible alle spalle. Ha visto qualcosa di buono, ha desiderato stare sempre più con noi, fino a chiedere di essere battezzata. Dalla disperazione che viveva prima è nata in lei una speranza. E attorno a questi rapporti anche la mia vita è rifiorita, la mia e quella della mia famiglia, compresi i rapporti tra me e mia moglie, perché ovviamente ci sono stati momenti non semplici.
Quale il momento più difficile?
Quando arrivò la guerriglia, la situazione era diventata pericolosa per le famiglie. Erano nati altri miei figli là (ben tre nacquero in Uganda ndr) e non era sicuro rimanere per loro. Così -eravamo tre o quattro famiglie- decidemmo di rimanere solo noi medici. Il distacco è stato duro per tutti.
Invece il momento più bello, più commovente?
Sicuramente la visita di Giovanni Paolo II. Quando venne in Uganda, per un caso fortuito potemmo anche dialogare con lui.
Qual è, in questo momento, la frontiera più delicata su cui operare?
AVSI ha deciso di dedicare tutti i suoi sforzi quest’anno ai profughi, in particolare i cristiani perseguitati nel mondo. L’intervento è rivolto sia ad alleviare le condizioni di vita nelle loro terre, dove spesso hanno perso tutto, sia nei centri di accoglienza qui in Europa. Vi sono tantissime iniziative di aiuto sparse in tutta Italia. Questi uomini, nostri fratelli, hanno perso tutto per non perdere la loro fede.
La serata di sabato 14 si prefigura davvero interessante dunque. Alberto Reggiori, dicevamo, oltre che medico è un ottimo scrittore. Abbiamo già parlato de La ragazza che guardava il cielo (di cui vi proponiamo qui il video della presentazione fatta al Meeting di Rimini nel 2011 a cui partecipò anche Veronica – visualizzare a partire dall’ora 1,01).
Oltre a questo libro ha pubblicato Dottore è finito il diesel, in cui narra la realtà in cui ha lavorato in Uganda e Fatti vivo, libro in cui si narrano vicende terribilmente personali.
Storie di sofferenze, riguardando i drammatici fatti che sono incorsi a suo figlio Giulio, per tanti versi così simili a quanto accaduto ad Antonio Socci con la propria figlia Caterina.
La prefazione Fatti vivoè stata scritta proprio da Socci. Sofferenze che tuttavia vengono superate e travolte da una sorprendente e sovrabbondante luce.
Quella che desideriamo incontrare domani sera al Teatro Novelli.
Ci si vede lì!
P.S.
Alberto Reggiori ha tenuto diverse conferenze in Italia. Oltre alle due partecipazioni al Meeting (2005 e 2011) abbiamo ritrovato in rete, tra gli altri, anche questo incontro a Cesano Boscone. La registrazione è amatoriale, ma la testimonianza di Alberto è di alto profilo. La proponiamo qui a conclusione del nostro articolo.