La croce e la svastica

Inauguro con questo articolo, una serie di pubblicazioni che saranno a supporto delle mie lezioni. Rilevo da sempre che quanto nasce come dialogo con gli studenti sia di straordinaria attualità e interesse per tutti. Ecco dunque la sperimentazione di questi articoli “ibridi”: nascono dalla vita a scuola per giungere all’attenzione di tutti, nella speranza di avere tempo ed energia per moltiplicarli.  Potranno essere aggiornati e ripubblicati in date successive, a seconda delle esigenze delle mie lezioni, entro il cui contesto nascono.

Lo scorso anno, un’alunna – non di una mia classe-, in un momento di studio comune tra più studenti di varia provenienza, con estremo candore, esclamò: “Sì certo, il nazismo è nato in ambito cristiano ed anti-ebraico. È una espressione del cristianesimo”. Alle mie obiezioni, che si incentravano sul carattere neopagano del nazismo, come facilmente si evince dall’ideologia che il Fuhrer esprime nel Mein Kampf, le risposte della studentessa facevano leva su una chiara vulgata basata su elementi superficiali ma diffusi, ben propagandati e attestati anche nella scuola. Allora ci si lasciò con qualche domanda in più, ed è già tanto.

Eppure, nei due recenti viaggi,  Berlino e ad Auschwitz, le nostre guide – di diverse provenienza culturale  e in ogni ambito visitato (dal Museo ebraico alla Topografia del terrore, tanto al campo di concentramento di Auschwitz così come di fronte al totalitarismo rosso, ovvero al Museo della Stasi o alle carceri della Stasi) –  hanno sottolineato sempre come tra le prime vittime dell’intolleranza nazista vi fossero stati i sacerdoti.  “Sul campo”, le cose, i fatti, le questioni assumono i loro contorni completi.

Questa distanza – tra quanto raccontato in situazione e quanto recepito dai media a casa propria –  mette bene in luce come vi siano  distorsioni terrificanti in certe forme di esposizione storica.

Certo. Il concordato con Hitler, i silenzi imbarazzanti, il tentativo di evitare uno scontro diretto col regime (motivato dall’esigenza di evitare più profonde sofferenze al popolo stesso), posso essere letti come risposta errata della diplomazia vaticana ad una situazione di cui però si dovrà ammettere almeno la criticità. Arrivare invece a leggerne una collusione, anzi una coesione di carattere culturale, è decisamente una distorsione della prospettiva storica.

D’altro canto così si esprime il manuale (pur valido) in adozione nelle mie classi :

Il rapporto con le Chiese
Anche tra i cristiani vi furono degli oppositori ma soprattutto dopo il 1936. Nei primi
anni, infatti, il regime nazionalsocialista non incontrò difficoltà nei rapporti con le due Chiese tedesche, quella cattolica e quella protestante. (…). I cattolici in genere non manifestarono alcuna opposizione al regime, nonostante anche il partito cattolico del Zentrum fosse stato sciolto.

Una sintesi che può facilmente trarre in errore (solo in parte compendiata poi dalle righe successive). Fa infatti pensare ad un’adesione lineare, semplice, tranquilla da parte del popolo cattolico al regime, salvo qualche “testa calda”. Come vedremo più innanzi nel video che proponiamo – ricco di testimonianze dirette – le cose non stanno così.
Vi è chi vuol piegare il discorso tuttavia espressamente verso un’equazione decisamente antistorica e costoro, diciamolo pure, devono avere dalla loro parecchia forza economica.

Oliviero Toscani, nell’ideare il manifesto del film  Amen di Costa Gavras pensò nel 2002 ad un’immagine che accostava i due simboli, la svastica e la croce, unificandoli. Un chiaro messaggio che intelligentemente la ragazza di cui sopra, chissà da quali altre fonti analoghe, raccolse. L’efficacia mediatica di professionisti ben pagati funziona. Lo sappiamo bene. Una identificazione che d’altro canto serpeggia nel film, in parte basato su documentazione reale, in parte su personaggi inventati. Una tecnica, anche questa, ben diffusa da tempo (parziali verità sono assai funzionali nel costruire una menzogna più credibile).

Ma basta poco per capire l’esatta entità -e complessità- delle cose.

Infatti il Nazismo è evidentemente un neo paganesimo che si ispira ad una ideologia irrazionalistica e vitalistica (e dunque contraria a tutta la tradizione teologica cattolica, nonché europea) e che pesca in miti pre-cristiani.

Così si esprime L. Poliakov in  Il nazismo e lo stermino degli Ebrei, Torino 1961

Hitler sognava di estirpare la religione cristiana e di sostituirla con un nuovo culto e una nuova morale, “una fede forte ed eroica…in un invisibile Iddio del destino e del sangue”.  Stavano a disposizione del “grande semplificatore” tutte le dottrine pangermaniste, le teorie razziste, le semplici credenze popolari che proliferavano in Germania; da esse egli trasse la materie prima per facili e accessibili dogmi. (…) …L’anima della razza, il sangue, il Volk, oggetti di sacra reverenza, resterebbero nozioni vaghe e fluide se non fossero rese tangibili agli occhi dei fedeli opponendo ad esse un’antirazza, un antipopolo.

Antirazza e antipopolo rintracciati per l’appunto negli ebrei. D’altro canto Albert Einstein, ebreo, così ebbe modo di esprimersi:

“Essendo un amante della libertà, quando avvenne la rivoluzione nazista in Germania, guardai con fiducia alle università sapendo che queste si erano sempre vantate della loro devozione alla causa della verità. Ma le università vennero zittite, e non protestarono. Allora guardai ai grandi editori dei quotidiani che in ardenti editoriali proclamavano il loro amore per la libertà. Ma anche loro, come le università vennero ridotti al silenzio, soffocati nell’arco di poche settimane, e non protestarono. Solo la Chiesa rimase ferma in piedi a sbarrare la strada alle campagne di Hitler per sopprimere la verità. Io non ho mai provato nessun interesse o stima particolare per la Chiesa prima, ma ora provo nei suoi confronti grande affetto e ammirazione, perché la Chiesa da sola ha avuto il coraggio e l’ostinazione per sostenere la verità intellettuale e la libertà morale. Devo confessare che ciò che io una volta disprezzavo, ora lodo incondizionatamente”.
(da Intervista di Albert Einstein, Time magazine, 23 dicembre 1940)

L’espressione di Einstein fu da lui successivamente confermata, seppure moderata, come si desume da una lettera (1943) che  conferma questo suo pensiero seppure in forma più blanda e sebbene successivamente affermi che non coincida con la sua posizione di fondo rispetto alla Chiesa.  Rimane che egli sapeva della pubblica e che non venga richiesta al giornale alcuna smentita.
Interessante peraltro la recensione al testo di Luciano Garibaldi, O la Croce o la Svastica,  che troviamo sul sito di IBS, in cui si riportano alcune ulteriori testimonianze (poi ovviamente reperibili dentro il testo in maniera estesa).

Il primo religioso tedesco a finire in un lager fu il gesuita Josef Spieker. In una predica a Colonia, nel 1934, aveva esclamato: “La Germania ha un solo Führer ed è Cristo!”. Il primo a essere eliminato dai nazisti fu monsignor Bernhard Lichtenberg, arciprete della cattedrale di Berlino: aveva pregato assieme a un gruppo di ebrei. Non fu che l’inizio di una sfida che si concluse con il sacrificio di quattromila sacerdoti e religiosi cattolici. Il presente libro racconta la storia dei rapporti tra la Chiesa e il Nazismo chiudendo la disputa sui presunti silenzi di Pio XII, il papa che Reinhard Heydrich – il promotore della “soluzione finale del problema ebraico” – in un rapporto segreto definì “schierato a favore degli ebrei, nemico mortale della Germania e complice delle potenze occidentali”. Sono molte le vicende ricostruite da Luciano Garibaldi in queste pagine: a cominciare dalla testimonianza del generale Karl Wolff che ricevette da Hitler l’ordine di arrestare Pio XII, ma riuscì a vanificare quel progetto, meritandosi l’assoluzione a Norimberga. E poi i due enigmi che ancora accompagnano Claus Von Stauffenberg, l’ufficiale che il 20 luglio 1944 tentò di uccidere il Führer: se cioè sia vero che il colonnello prima di collocare la bomba si confessò dal vescovo di Berlino, ne ottenne l’assoluzione e si comunicò; e se si possa affermare che il Vaticano fu preventivamente informato dell’Operazione Valchiria.

Ben nota d’altro canto è l’esperienza dei ragazzi della  Rosa bianca, a cui è dedicato un film (Sofie Scholl) che descrive con cura filologica gli ultimi giorni di vita di questa interessantissima esperienza di opposizione al nazismo in nome della bellezza, della ragione e della fede, e sulle cui singole figure venne editata una mostra che si può scaricare in rete a questo indirizzo (scaricabili i file zippati  ai link in fondo pagina).

A mettere in chiaro la situazione secondo canoni equilibrati,  contribuisce una pregevole ed ampia documentazione storica, raccolta nella trasmissione del ciclo La Grande Storia di Rai 3.

Mettendo a disposizione anche filmati inediti, descrivendo il quadro dello sviluppo del regime in maniera complessa ed estesa, permette di superare sintesi divulgative, contraddittorie con la natura dei due fenomeni: la fede cristiana ed il nazismo. Il tutto, pur non omettendo tutti i passaggi più critici, tra cui il tentato compromesso (peraltro fallito, a dispetto del Concordato), inserendoli però nel loro contesto completo.

È davvero una visione preziosa per capire meglio ed acquisire una più precisa conoscenza di quel che il regime nazista fu nelle sue radici ideologiche, troppo spesso ridotte a un generico “fascismo” (che fu cosa ben definita e tutta italiana, con sue specifiche criticità) o ad un autoritarismo di destra, perdendosi invece il carattere quasi mistico e millenaristico che lo contraddistinse, rendendolo un fenomeno unico e terrificante nella sua macabra identità ideologica.

Una identità chiaramente anti europea ed anti cristiana. Aspetto che va detto chiaro e tondo, senza alcuna ombra e mistificante semplificazione.

Riproponiamo il documentario nella sua visione integrale dal sito Daily motion in questi due link.

La Croce e la svastica 1^ parte

La Croce e la svastica 2^ parte

Quell’esperienza della croce, a noi sconosciuta

Silence è un capolavoro. Due ore e quaranta incollati allo schermo, senza accorgersi del tempo che passa. Un alternarsi di immagini e volti che scavano nell’anima. Perché nel film non solo é  immortalata la storia dei padri Gesuiti in missione nel Giappone del 1600 e quella del loro popolo – commovente per dignità e statura, nella semplicità e devastazione delle persecuzioni – ma la storia di ognuno di noi. Di ogni spettatore.

Protagonista del film, infatti, é il traditore Kichijiro, fedele fino all’ultimo e traditore fino all’ultimo. Lui, così spregevole, è l’immagine dell’uomo nella sua più profonda e terribile verità. Così, la vita di ogni personaggio del film è sempre sul filo della caduta, del non saper che fare e che scegliere, del non sapere dove sia il bene e il male, del vuoto che sembra sostituire il pieno che Dio ha promesso e lasciato intuire con inaudita certezza.

Si parla del dramma di ogni uomo impegnato seriamente con la propria esistenza.

Lo spettatore, dunque, anche colui che non sperimenti una vita cristiana, si trova pienamente espresso in quelle pur lontane situazioni. E ne prova un fascino infinito.

Raramente mi é capitato di vedere un film più mio, più espressione del dramma della mia e nostra esistenza. D’altro canto la persecuzione, così crudamente descritta, é il nostro futuro, e forse anche un po’ il nostro presente. Ma su questo torneremo a parlarne  più innanzi.

Occorre affrettarsi al cinema, per non perdere questa straordinaria metafora della vita che, non a

Padre Spadaro, a destra, e Martin Scorsese mentre dialogano intorno al film Silence. Nell’intervista Scorsese racconta come questo film sia stato una Grazia per lui

caso, è frutto di una riflessione lunga una vita, come Scorsese chiarisce nella lunga ma bellissima intervista al gesuita Antonio Spadaro.

Provo a costringere l’infinita gamma di sfumature e di spunti che il film suscita in alcuni pochi passaggi che mi sembra meritino di non essere perduti e che credo siano decisivi per l’uomo di oggi.

Occorre dire che, così come amici mi hanno saggiamente consigliato, è decisamente opportuno lasciarsi perturbare privi di qualsiasi condizionamento dal film, nella sua inquietante e fascinosa “ambivalenza” (così la croce pare a noi, “cristiani da pasticceria” – parole del papa che mi ha ricordato un’altra amica dopo la visione del film).  Per questo è consigliabile non leggere le pagine che seguono, se si è prossimi a vedere il film. Una volta visto il film è interessante il confronto, assai più che con queste parole, con la breve ed efficace recensione di Autieri, per le chiavi di lettura suggerite, e con un bell’articolo  sulla rivista mensile Tracce (articolo purtroppo non disponibile online)  per i riferimenti alla storia della chiesa in Giappone, di un tempo e di oggi, espressi intervistando il gesuita De Luca. Uma chiesa, come egli dice “che si mantenne viva, segretamente, benché non ci fossero né chiese, né preti”. Saranno i missionari francesi, nell’Ottocento, a scoprire le comunità segrete dei kakure kirishitan (“cristiani nascosti”). Uno sguardo alla storia della Chiesa cattolica in Giappone, anche solo sulla consueta wikipedia, è decisamente interessante.

Proviamo allora a fissare alcuni punti, consapevoli che potrebbero essere infiniti…

1) Dio parla nel silenzio. É notevole come il protagonista del film sia il cuore dell’uomo di ogni tempo. Un cuore che desidera l’infinito e che lo tradisce ad ogni passo. L’abiura non é solo quella continuativa di Kichijiro, o di padre Ferreira, o degli  altri padri. Ma é anche quella di chi, come padre Garupe, inizialmente identifica con la forma del martirio la propria fede, ridotta a rabbioso tentativo di coerenza. Una riduzione che nasce dalla fragilità di padre Garupe rispetto al più sereno e “forte” padre Rodriguez, che tuttavia, in una sorta di ribaltamento di posizioni, subirà anch’egli prove impossibili per un uomo. L’amore, pacato e sofferto, per quella gente -corpo di Cristo, chiesa nascente- di padre  Rodriguez é esemplare e supera perfino la “forma” del martirio, suggerendo perfino ai kirishitan  di accettare la formale abiura, mentre Garrupe, rabbioso e disperato, grida che non abiurino. La fede non ha forme predefinite. Nemmeno la forma suprema: il martirio.

2) E tuttavia è evidente che il progetto di  potere dell’inquisitore giapponese è quello di estirpare nell’uomo qualsiasi speranza, spingendo all’accettazione di una natura che sembra non risparmiare l’orrido orizzonte della morte ad ogni uomo (come attesta il vecchierel bianco di leopardiana memoria ). L’inquisitore afferma, con cinico distacco, che in Giappone non può crescere nulla di nuovo, che non vale la pena portare una fede per cui le persone saranno destinate a dare la vita, che nella palude di quella tera nulla può mettere radice. Anche la chiesa nascente, pur ricca e feconda (300mila persona in pochi decenni) sarà fatta scomparire.

L’inquisitore

È una cultura della morte, ma ordinata e dotata di un senso compiuto, circolare, che non si apre a nulla nel rischio che spezzi il ciclo della natura. Il Cristianesimo deve sparire perché accende la speranza di rompere questo cerchio e dunque è ancor più pericoloso di Portoghesi, Spagnoli, Olandesi, con i loro interessi economici. Il potere comprende che deve distruggere quel principio di speranza, se vuol mantenere se stesso così inossidabile e rassicurante, capace di organizzare la disperazione.

3) È incredibile l’efficacia della raffigurazione dei padri dopo l’abiura. Non c’è traccia di umanità nei loro volti e nelle loro parole. Freddi, distaccati. Anche infervorati nel difendere le proprie posizioni ma sfuggenti negli sguardi.  L’abiura é terribile, costringe l’uomo a soffocare se stesso, ovvero il desiderio più autentico del proprio cuore, acceso dalla fede cristiana. È una forma di martirio essa stessa. Fiorisce il corpo, ripulito, disteso, e nei volti non c’è più alcun dramma. Ma l’io è morto.

4) Eppure il cuore dell’uomo grida, afferma, quel Dio tradito e, al di là di ogni situazione, Dio parla, opera,  pur misteriosamente e nell’apparente sconfitta. Padre Ferreira (nella verità storica poi si ricrede e viene accolto nuovamente tra i Gesuiti) nomina inavvertitamente il nome di Dio. Se ne avvede padre Rodriguez, ma lui nega. Anche l’abiura, il tradimento e la zelante opera di collaborazione con l’inquisitore giapponese, scientificamente alimentata da una impeccabile strategia da parte del potere, non riesce a cancellare l’azione misericordiosa di Dio, resa particolarmente vivida e presente dal desiderio di pentimento  da parte del peccatore Kichijiro.  Malgrado l’abiura e la nuova vita padre Rodriguez resta padre, è “costretto” ad essere padre.

Scorsese con papa Francesco

E Scorsese ha voluto aggiungere al libro da cui il film è tratto (il romanzo di Shusako Endo, che Scorsese ha letto nel 1988 e che ha scavato nella sua vita) una sorpresa sconcertante, proprio nella scena che descrive la fine dell’esistenza di padre Rodriguez. Una geniale aggiunta di Scorsese che conferma le parole già da espresse  da Rodriguez , “nel silenzio ho sentito la tua voce”.

É misterioso e vertiginoso come Dio possa parlare anche nel fondo del peccato e del tradimento, nell’oscurità della Sua sconfitta. Ma non é forse questa la fede cristiana nella sua intima essenza, quella fede invincibile per il mondo, ovvero la fede nella croce? La “pace che il mondo irride ma che rapir non può?” (Manzoni).

La certezza che nulla è abbandonato – neppure l’abbandono più terribile e infamante – dall’abbraccio di Dio è il grande tema che il film ripropone (senza la pretesa di essere un impeccabile trattato teologico) e che oggi ci conviene guardare con grande attenzione.

Si aprono tempi, infatti, in cui sarà chiesto ad ognuno di prendere posizione a fronte di una società in cui tutto, ma proprio tutto, è contro il cristianesimo. Non ci saranno, presumiamo, le fantasiose torture giapponesi. Tuttavia una forma di ostracismo e rinuncia a pezzi di potere, a pezzi di prestigio sociale,  in nome della fede – nuda, pura – già è richiesta oggi. E continuamente la Chiesa sta richiamando la giusta battaglia per il cristiano di oggi, correggendo sottolineature sciagurate che vanno in direzioni apparentemente ragionevoli.  In tal senso è sufficiente rileggere le Ultime conversazioni di Benedetto XVI, dove il papa emerito si dichiara  preoccupato non per il calo di fedeli o di vocazioni, ma per la perdita della fede.

Ma cosa è questa fede, questo unico punto che conta per la chiesa universale?  Non forme predefinite (né intimistiche, né di militanza esteriore), ma il riconoscimento (fisico, reale, in luoghi che aiutino tale coscienza) del Dio che ci abbraccia ora e sempre, e dunque la possibilità di una vita nuova da subito, anche nella più devastata e lontana situazione che possiamo vivere. Anche in questo inferno interiore di cui siamo terribilmente protagonisti e artefici noi uomini dell’Europa del XXI secolo. Un inferno che, per certi aspetti,  ha poco da invidiare alla vita di fango e di stenti dei kirishitan giapponesi del 1.600.

Matrix involution

Da Ariminol del 21 novembre 2003 (pag.9)

 

Matrix revolution dovrebbe essere chiamato Matrix “involution”. Il film per quasi tutta la durata vive delle vicende dei primi episodi e, quando nel finale sembra prendere una piega sua propria, scivola in una narrazione fiacca e priva di spessore.

La trama imbastita è carente, tanto che durante la visione insorge un esplicito senso di stanchezza. E’ chiaro che i fratelli Wachowsky si sono arenati nell’impresa, tutt’altro che facile, di sostenere le loro valide intuizioni e senza dubbio il flop del film si spiega con questa difficoltà, peraltro piuttosto consueta in questi casi.

Ma forse in questa caduta verticale vi è qualcosa di più.
Abbiamo individuato nella vicenda dei primi due Matrix una forte tensione ad affermare il reale ed una valorizzazione, sebbene carica di elementi ambigui, della libertà, intesa quale libero arbitrio o scelta.

E’ evidente che la cultura contemporanea vive un forte senso di difficoltà al momento di affermare il valore e la consistenza del reale e i Wachowschy sembrano non essere affatto fuori da tale empasse. Sembra una maledizione, ma la creatività dell’uomo contemporaneo, sia che filosofi, sia che crei ardite opere d’arte, sia che traduca in un film la sua forza immaginifica, è decisamente in imbarazzo di fronte a quella che sembra l’evidenza prima del vivere: esiste qualcosa. Così nel film non c’è più direzione e la lotta di Neo diviene una sorta di compromesso con il mondo delle macchine. Nessuno vince; c’è la pace tanto agognata da Zion, ma il potere è sempre in mano alle macchine. Si traspone la tematica: dalla lotta per affermare l’origine reale dell’umanità, alla lotta per far vincere il bene contro il male (l’agente Smith), un bene e un male che sembrano determinati comunque dalle macchine, (o dal comune ma opposto rifiuto delle stesse? Nel film nessuna risposta) le quali sono una sorta di dio-demiurgo che crocifigge il proprio figlio, Neo, senza farlo risorgere. Già, perché la scena finale è una goffa imitazione della crocifissione (Neo morendo distrugge il male). Una crocifissione in cui però non vi è segno di resurrezione, salvo un possibile scherzo di un finto finale e di un futuro sequel.

E qui sembra essere il punto. Senza resurrezione non c’è realtà. Tutto è destinato ad apparire una “favola raccontata da un ubriaco in un eccesso di furore”. Il “coraggio dell’essere” (von Balthasar), vissuto come per istinto dai Greci, ribadito e rafforzato con la forza della fede dai cristiani, é in buona parte disperso nella cultura moderna e contemporanea. I fratelli Wachowsky non sfuggono a questo destino e tradiscono gli spunti iniziali del film, non sciogliendo alcuno dei nodi abilmente intrecciati precedentemente.

Forse anche perché per affermare il valore dell’essere non c’è bisogno di rivoluzione ma di resurrezione.

Matrix e la filosofia, ovvero l’ineludibile necessità di abbracciare il reale

 

Da Ariminol del 7 novembre 2003 (pag.7)

Al momento della pubblicazione di questo articolo su Ariminol, sarà già presente nelle sale cinematografiche il terzo episodio di Matrix, episodio che, come i precedenti, sicuramente susciterà dibattiti, commenti, discussioni e quant’altro.
Ci pare interessante riflettere su questa avvincente saga fantascientifica, soffermandoci un attimo per domandarci quale sia l’elemento di fascino del film. Film, ricordiamolo, che ha acquisito una notorietà che supera senza ombra di dubbio l’ambito degli amatori di un genere o del cinema in generale, ponendosi invece come riferimento capace di determinare mode, linguaggi e il vissuto quotidiano.
Malgrado gli elementi di interesse del film siano molteplici, forse quello più intrigante consiste nella capacità di tradurre in un linguaggio nuovo, accattivante e tecnologicamente avanzato, le questioni più antiche ed essenziali: le domande fondamentali che la ragione suscita nell’uomo di fronte alla realtà.
Che questo sia uno dei segreti del successo di Matrix lo prova la ricchezza di riferimenti che si trova sulla rete ad una semplice ricerca con i termini “matrix” e “filosofia”.
Sono migliaia i riferimenti presenti e di qualità interessante. Nella seconda parte dell’articolo intraprenderemo un viaggio all’interno di alcuni di questi siti, con l’intento di fornire un comodo viaggio tra le più varie interpretazioni possibili del film. A dir il vero intendiamo proporre anche un nostro percorso personale, che peraltro tocca un aspetto che non abbiamo incontrato nel nostro viaggio sulla rete e che pure ci pare centrale. Solitamente si intende Matrix tutto orientato a descrivere una realtà virtuale e illusoria, un mondo di macchine, uomini di pura coscienza (in salsa New Age). E se invece il film fosse, al di là di questi aspetti, l’espressione di una profonda esigenza di realtà? Detto in termini filosofici: e se il film fosse orientato verso un profondo realismo?
C’è chi trae dal film, quale messaggio filosofico suo intrinseco la seguente suggestione. In un articolo della prestigiosa rivista «Mind»: «Are you living in a Computer Simulation?» (Vivete in una simulazione fatta al computer?) il professor Bostrom, della Yale University, sostiene: «La nostra vita potrebbe essere per davvero una simulazione computeristica escogitata da una popolazione post-umana, molto più avanzata della nostra che vive in quello che noi crediamo il futuro».

Sebbene questo sia l’ambiente in cui si svolge buona parte della vicenda, ma non dimentichiamo la realissima astronave e la realissima Zion, non ci pare il messaggio più credibile di Matrix. Riteniamo al contrario che sia possibile continuare a credere che la nostra esistenza, le cose belle e tragiche della vita, gli amici, la moglie e i figli siano più che reali. Molto umilmente suggeriamo di porre l’attenzione a due parole chiave, sostenute da una terza che è strumentale alle prime. Le parole “libertà” e “realtà” sembrano dominare il film. La tensione verso questi concetti, poi implica la necessità di una “rivoluzione”, una lotta per riaffermare l’origine. Essa tuttavia non è fine a se stessa, né è colorita in sé stessa di un valore salvifico (quale cammino necessario della Storia, ad esempio), ma è una sorta di ribellione morale o percorso interiore di metanoia (conversione), di fronte al mondo delle menzogne, degli schemi rassicuranti, dell’astrazione irreale. La condizione fondamentale che permette questa lotta viene scoperta ed esplicitata gradualmente nel corso di tutta la vicenda. E’ la libertà, la scelta intesa come possibilità reale di determinare gli eventi. La necessità e la presenza della scelta, nella sua tensione contro la logica circolare del “sistema Matrix”, è evidente fin dall’inizio (scelta di essere o non essere un buon dipendente, scelta della pillola rossa o blu, scelta di salvare la vita di Morpheus, poi di Trinity, ecc.) e il protagonista Neo sembra in grado di superare gli schemi del sistema (l’oracolo opponeva la “missione” alla salvezza di Morpheus, l’architetto induce l’alternativa tra la salvezza di Zion e la vita di Trinity). Neo apre nuovi scenari che il sistema Matrix intende convogliare dentro la sua logica onnipresente ed oppressiva (correggendo l’anomalia, che fondamentalmente consiste nella libertà). Il terzo episodio chiarirà forse l’esito di questa dialettica (per Matrix) guerra (per Neo) tra l’affermazione della scelta libera e la circolarità sistemica della logica di Matrix.
Ma la parola decisiva che incombe sul film accanto a “libertà” è la parola “realtà”. Infatti, se è vero che si sostiene l’evanescente apparenza del tutto, al contempo si narra l’impresa di uomini che vogliono con tutte le loro forze affermare ciò che è reale, effettivo, carnale. Il film intero è l’esaltazione dell’ineludibile volontà di abbracciare il reale, dimensione originaria e vera seppure lontana. Non esisterebbe neppure la trama del film se si omettesse questo aspetto, eppure, ci pare, tante critiche del film lo dimenticano, affascinate dall’oramai consueto orizzonte di dubbio nei confronti delle cose. Dubbio che c’è nel film, ma solo per affermare una dimensione reale vera, dove gli uomini sono uomini, le cose sono cose e le macchine tornano ad essere strumentali all’uomo. Questa istanza realistica, considerata nel sito di indymedia come negativa e destrorsa (vedi sotto i link che proponiamo) ed invece semplicemente umana, sarà confermata nel terzo episodio o prevarrà il dominio dell’inganno e dell’astrazione?

A questo proposito invitiamo chiunque voglia intervenire in merito a scriverci per esprimere opinioni, aggiungere elementi, operare critiche. Potremmo forse iniziare un dibattito interessante, a più voci.

E’ comunque certo che il film ha il merito di far discutere e sollecitare riflessioni, tutt’altro che epidermiche, su un’affascinante linea che attraversa la cultura elevata, la filosofia, la cyber cultura, la fantascienza, la cultura underground della rete (interessanti gli episodi in stile anime, chiamati Animatrix, scaricabili dal sito ufficiale di Matrix).

Intraprendiamo dunque, ora, il nostro viaggio tra i meandri della rete, tra i quali, da oggi c’è anche Ariminol.

Andando sul sito amatoriale di Diego Fusaro, (studente, oramai ex, di liceo) , si trova una scheda relativa al primo Matrix che, dopo una prima analisi del film e dei dialoghi principali, si impegna a mostrare i riferimenti a Nietsche, Schopenhauer, Platone, Marx e Cartesio presenti nel film. Si scopre in Matrix una vera sintesi di un qualsivoglia programma di filosofia del liceo, dove temi gnoseologici ed ontologici vengono riproposti con un’indubbia profondità anche se ovviamente senza la pretesa di corrispondere alle esigenze sistematiche della disciplina.

Un passo oltre ci troviamo ne “Il giardino dei pensieri” (la pagina oggi non è più attiva – nda) dove Diego Marconi, partendo da Matrix allarga il tema al rapporto più generale che si può riscontrare tra cinema e filosofia. In particolare si riconosce a Matrix non solo il merito di riproporre temi filosofici classici ma di esercitare una spinta al filosofare, proponendo addirittura una sua propria filosofia. In particolare quattro sarebbero i temi propri del film: il rapporto tra artificiale e naturale; il rapporto tra mente e corpo; il rapporto tra realtà e sogno; il tema dell’illusione perfetta o della realtà virtuale. Profonda, affascinante e suggestiva l’analisi di Cristina Boracchi sul sito della Società Filosofica Italiana (anche questa pagina oggi non è più attiva – nda), dove si osa un approccio critico interessante mettendo in luce il significato più profondo delle rivisitazioni operate nel film, ma anche annotando le caratteristiche stilistiche innovative e soprattutto mettendo in evidenza l’intrinseco valore filosofico di Matrix, qui identificato nel percorso del protagonista, Neo, verso la verità.

Sulla vera e propria filosofia di Matrix interviene anche Corrado Ocone, (anche questa pagina oggi non è più attiva – nda), il quale ricorda le suggestioni della fantascienza di Dick e, sfidando le riflessioni scettiche di Morandini, (che ritiene il film un «pastrocchio saccente e misticheggiante»), interpella il maggior filosofo della scienza italiano, Giulio Giorello, il quale ci ricorda che in Matrix, dal punto di vista filosofico non si trova nulla di nuovo, rispetto a quanto Cartesio e Calderon de la Barca avessero già trattato (l’ipotesi che la vita sia sogno).

Quel che di nuovo sicuramente c’è, è la distopia, ovvero l’utopia negativa, una visione del futuro macchiata di orizzonti catastrofici e negativi, come viene messo in evidenza in http://www.it.ciao.com/Matrix__Opinione_41845 5 (anche questa pagina oggi non è più attiva – nda) .

Il tentativo di Alessandro Studer invece, sempre ne Il giardino dei pensieri  (pagina oggi non più attiva – nda), è quello di orientare i temi del film in direzione platonica e freudiana, attraverso la suggestiva metafora del “cinema” come figura della caverna platonica.

In un ampio articolo, in ihmagazine.it (pagina oggi non più attiva – nda), che spazia anche sugli aspetti tecnologici e stilistici del film, ci viene ricordato come Matrix abbia suscitato dibattiti, corsi universitari e pubblicazioni: (“The Philosophy of Matrix” di William Irwin, “Exploring Matrix: Vision of Cyber Present” di Karen Haber e “Taking the Red Pill: Science, Philosophy & Religion in Matrix” di Glenn Yeffeth e, aggiungiamo noi, in italiano “Visioni da Matrix, tracce di un presente cyber”, 17 saggi raccolti per i tipi della Sperling & Kupfer).
Più mirato l’intervento di Tombolino, che coglie un nesso diretto tra Heidegger (il filosofo che mise in guardia l’umanità dal dominio della tecnica) e Matrix (pagina oggi non più attiva – nda) mentre altrove troviamo letture esoteriche del film. Interessante notare che nei confronti di Matrix c’è già chi ha certezze politiche. Sul sito preferito dei No Global (Indymedia) si legge che Matrix ha l’infame colpa di essere di destra (“Matrix e Matrix Reloaded. Ecco due tipici esempi di cultura di destra, per quanto trasversale e forse inconsapevole.”), provate ad andare su per verificare il ragionamento (si fa per dire) sotteso a questo giudizio. (purtroppo anche questa pagina oggi non è più attiva – nda)

Ma tralasciando chi vuol trovare nemici politici in ogni dove, possiamo concludere questa carrellata citando il sito ufficiale di Matrix che offre, in inglese, diversi contributi in questa direzione  e conferma l’intenzionale pregnanza filosofica del film. (anche questa pagina non è più attiva, ma qualcosa ancora si trova qui)

Dopo questa lunga carrellata, attendiamo anche la vostra voce. Scriveteci!