Se Mattarella ha deciso di porre uno stop così eclatante ad un percorso che pareva essere sulla via della conclusione, qualcosa di grave, di molto grave, assai più di quanto possiamo già sapere o immaginare, aleggia tra le quinte del dibattito politico di questi giorni.
Certamente la situazione non può essere ridotta alle semplificazioni che penetrano la nostra pelle, con la complicità dei social. “Mattarella servo della Merkel”. “Democrazia defraudata”. “Volontà popolare schiacciata”. Dittatura del Presidente”.
Slogan che non possono essere il criterio per un giudizio che permetta di ricostruire la nostra democrazia. e un’Italia più forte. Slogan che non posso che cozzare contro i “Poteri forti” e infrangersi in mille pezzi, con la naturale conseguenza di portare al disastro la nazione intera, destinata a deflagrare sulla spinta di iracondi desideri contrapposti.
In questa situazione, il punto di speranza – data l’assenza della politica – è il tessuto sociale ancora presente in Italia. Gruppi e gruppetti di amici appassionati alla politica che, fuori dai giochi, si aiutino a vincere la reattività e la passività (due facce dello stesso errore).
Vincere la semplificazione iraconda è il primo dato.
Il secondo è l’amore per la realtà che non coincide mai con semplici schemi (di destra o di sinistra, penta stellati-sovranisti o europeisti, democraticisti o putiniani).
Il terzo è vivere da subito un elemento di positività e di speranza, da difendere, da sostenere. Non il risentimento ma la speranza, la cui certezza sia il presente che soddisfa, che riempie l’esistenza e che pertanto ha rilievo, conta, pesa inferendo senso di responsabilità, fino ad evitare sbandate istintive alla “tanto peggio” (tipico di chi non ha nulla da difendere).
Confrontandomi con amici in alcuni di questi gruppetti, che si stanno moltiplicando spontaneamente, in sé senza alcuna pretesa e futuro ma di cui sono profondamente grato come l’elemento più utile oggi, ho chiesto – proprio per vincere la tentazione della reazione istintiva – all’amico e grande saggio della politica Nicola Sanese una sua opinione.
Questi i punti che ci ha girato in una chat e che credo meritino una più ampia diffusione. Nicola ha acconsentito di riportarli su questo blog, malgrado siano ovviamente precari, quali semplici appunti scritti su WhatsApp.
Il dibattito nella chat citata si era innescato dopo un mio post che suonava così: “Conte rinuncia. La situazione precipita. Preghiamo per l’Italia.”.
Così Nicola Sanese:
” In estrema sintesi: 1. Situazione molto critica iniziata dal 4/12/17 e dagli errori dell’ ex-premier Renzi. 2. Legge elettorale “Rosatellum” del tutto inadeguata. 3. Passo debole di Di Maio-Salvini l’avere indicato un non eletto il 4/3. 4. Mattarella ha assecondato al meglio l’esito del voto del 4/3 , ma ha avvertito i due di alcuni limiti invalicabili. 5. L’inesperienza di Conte e la “prepotenza” dei due “escono” dal campo della politica. 6. Nel crollo delle evidenze va aggiunto il consumarsi del sistema democratico. 7. La saggezza politica (da chiedere si, con la preghiera) è un governo di tutti per: blocco aumento IVA, legge di bilancio e legge elettorale modificata. NB: apprezzo molto il vs dialogo PS: Nel passato più volte ci furono stop su candidati ministri “.
Che dibattiti di tale profondità si moltiplichino, vincendo l’istinto forcaiolo (e impotente) è l’unica speranza per il medio termine. Il breve sarà sicuramente durissimo.
Il Meeting 2017 procede nel cammino verso l’approfondimento del carisma di Giussani, riconosciuto sempre più decisivo per approcciarsi al presente. Un carisma, che, come ben delinea la mostra – brevissima ma di notevole chiarezza – che si trova sul retro del banco dell’ International Meeting Point, non coincide con alcune “forme di presenza” o alcuni giudizi ma con l’immedesimazione completa, totale e appassionata con Cristo, vissuto come “stoffa dell’essere”, come radice di cui ogni cosa vive. E dunque fonte di giudizio libero e appassionato su tutto.
Un giudizio che si compie grazie all’aiuto dell’ “altro”, del diverso, di colui che non ti aspettavi.
Questa libertà è quanto Giussani ha vissuto ed ha tentato di insegnarci. Una libertà che nasce da una dimensione di rapporto con il Mistero, quasi fosse una “mistica” incarnata nella storia. Non a caso, il momento topico del meeting 2017 può essere identificato, ad oggi, nell’incontro tra due monaci, ovvero due uomini che di mistica se ne intendono. Ebbene in questa “mistica” si può trovare la radice per una nuova passione per la Polis, una passione capace di superare vecchie forme, lontane davvero un millennio.
Lunedì scorso si è parlato dell’amicizia tra don Giussani e Abukawa, il monaco buddista del Monte Koya, il più profondo centro spirituale del Giappone (interessante leggere l’articolo sul Quotidiano Meeting dove un’appassionata orientalista scopre casualmente che nella sua Rimini sarebbe venuto colui che, per incontrarlo, dovette raggiungerlo in Giappone, dove peraltro aveva trovato misteriosamente le stanze costellate di foto del Meeting di Rimini). Quel Giappone così ostile ai valori cristiani, come ci è stato ricordato dal film Silence recentemente. È proprio con Abukawa che oramai da trent’anni nasce e si conserva un’amicizia profonda e intensa, per nulla limitata dalle “differenze culturali”.
L’incontro del 21 (lunedì scorso) tra l’abate generale dei Cistercensi, Mauro Giuseppe Lepori, e Shodo Abukawa – Lepori ha ereditato tale amicizia da don Giussani – è stato un approfondimento eccezionale di qual sia il compito del cristiano, di fronte alle sfide del nuovo millennio.
Liberi da ogni formalismo, hanno pregato assieme (in una forma rispettosa del credo di ognuno, senza sincretismi), hanno relazionato e testimoniato il valore di un incontro tra uomini che si fonda sul comune rapporto con il Mistero, come bene ha sintetizzato Alessandro Caprio sul Quotidiano Meeting (pag 1 e pag. 3). (Ma è assolutamente imperdibile la visione dell’intero incontro cliccando qui.)
In particolare Lepori ha posto alcune sottolineature che risultano decisive per il futuro della Chiesa e dell’uomo contemporaneo, così restio ad abbracciare una tradizione che considera un peso, un intralcio, una sorta di residuo che funge da zavorra nel suo confuso errare verso una realizzazione, che pure gli appare sempre più una chimera. Giudizi che possiamo considerare sciagurati, e che tuttavia stanno lì, inamovibili e rocciosi. Tanto più rocciosi, quanto più l’uomo, ferito, sanguina e ansima, straziato dal dolore di un’esistenza che appare sempre più vuota. Eppure, sempre più chiaramente, questa situazione emerge come una grande risorsa, da cogliere per il bene di tutti.
Lepori ha letto il contenuto di una calligrafia, realizzata da Abukawa e portata a lui in dono, in cui si afferma una vecchia espressione di Kobo-daishi, il fondatore del Buddismo Shingon: “Tutti quelli che vanno a trovare un grande maestro o una persona virtuosa, hanno il loro cuore vuoto. Ma grazie all’incontro con lui, tutti saranno salvati e torneranno sulla strada di casa con il loro cuore pieno di soddisfazione”.
Lepori ha colto, a partire di qui, la grande dicotomia che abbiamo di fronte oggi. Oggi si tratta di scegliere, se avere “un cuore chiuso o un cuore vuoto” (Lepori ha più precisamente detto che “l’alternativa a un cuore vuoto è un cuore chiuso”).
Questa espressione, lapidaria e fulminante, nasconde un chiarimento essenziale di fronte a tutta la fatica della chiesa e dell’uomo di oggi. Il grande compito rispetto a cui il papa sta incoraggiando instancabilmente l’umanità intera. Esortazione che lo rende l’unica autorità morale del presente, come più osservatori hanno affermato.
La via di uscita, oggi, non è un cuore pieno. Bensì sostare sul quel vuoto, non temerlo, condividerlo con l’uomo d’oggi, cercare chi avverte questo smarrimento di fronte al Mistero, per ritrovarsi di fronte alla dimensione ultima della vita, sostare di fronte a quel Tu che unico può riempire la vita (Giussani ci insegnò: “Io sono Tu che mi fai”).
Se non raggiungiamo questo livello ultimo e profondo (per questo si parlava di mistica, non si fraintenda con uno spiritualismo), oggi nessuna risposta “della terra di mezzo” può apparire significativa. Il cristiano, come d’altro canto ha ben chiarito Costantino Esposito con il suo momento “Profeti del nostro tempo”, ha l’occasione di comprendere più pienamente la sua fede, potremmo dire se stesso, la propria identità (che non si identifica con quanto già costruito, ciò di cui Vittadini in maniera provocatoria ha detto di “non sapere che farsene”) in un mondo che crolla. Il nichilismo dell’uomo contemporaneo, vissuto come grido, è la grande opportunità perché l’uomo torni a vedere Cristo, e non sue propaggini, sue conseguenze, sempre e comunque insufficienti.
Seguendo la suggestione di Lepori si può dire che fare cultura oggi (rendere la fede cultura) è soprattutto costruire “relazioni che rendano eterne quelle costruzioni” (di mura, di idee, di valori) che la storia sta spazzando via. Costruire ciò che le rende eterne, cosicché quand’anche venissero spazzate vie le idee, le mura, i valori, nulla cambierebbe perché ne sarebbe mantenuta l’origine. Si comprende bene il carattere invincibile di tale posizione. Quand’anche l’ISIS facesse crollare San Pietro, non saremmo perduti, se (e solo se) vivremo questa dimensione.
È la strada. La nuova ed antica strada, in un momento di ricostruzione di civiltà (una ricostruzione i cui frutti probabilmente, in termini di “strutture” la nostra generazione non vedrà, come d’altro canto la generazione di S.Agostino non vide la societas christiana ).
È decisamente un approfondimento notevole, che chiarisce, distilla, precisa tutta la vita di CL, riprendendo tutti gli instancabili interventi del Gius per correggere un percorso che oggi si adagia con sempre maggiore docilità sulla linea maestra dell’esperienza viva e sorgiva nata da lui, dopo tanti “tentativi ironici”, preziosi ma per definizione da definire e correggere sempre. Oggi più che mai.
Possiamo dire che dalla “mistica” di Lepori (e Abukawa) e dal “cuore francescano” di Pizzaballa (che ha approfondito il tema del Meeting), nasce un nuovo impegno nel mondo, una nuova passione per la Polis, resa possibile da quell’agilità del cuore (espressione sempre di Lepori, in un successivo dialogo) che può rendere il nostro impegno libero di riconoscere i bisogni dell’oggi, in quanto libero da qualsivoglia schema. È quella ingenua baldanza che il Gius ci ha insegnato e che oggi riguadagniamo, scoprendoci con il cuore vuoto e ferito (come d’altro canto ogni uomo del XXI secolo) di fronte al grande Mistero che costituisce ogni cosa e che prende forma in maestri, talora impensati, talora perfino lontani, e diventa via e metodo nel grande alveo della nostra madre Chiesa.
Un Meeting che ci immerge in un tempo appassionante, dove la sfida è già vinta, ma tutta da riguadagnare.
Un Meeting dove il “popolo di Cl” in maniera massiccia comprende le nuove sfide, come attesta la presenza selettiva agli incontri che toccano questi nodi decisivi. All’incontro con Lepori la sala non ha potuto contenere la folla, che ha riempito all’inverosimile anche la Hall Sud, mentre le visualizzazioni su Youtube già hanno raggiunto ben 2.800 visualizzazioni. Allo stesso modo, ed anzi superiore, una folla sterminata era presente all’incontro con Pizzaballa, anche qui ben oltre la capacità di contenimento della sala, a cui si aggiungono 5450 visualizzazioni su Youtube.
Da questo Meeting esce un popolo pronto e sensibile alle sfide del cambiamento d’epoca.
Papa Francesco ha descritto, in anticipo, l’effettiva prima giornata del Meeting 2017. Così si legge nel suo discorso di saluto:
Come evitare questo “alzheimer spirituale”? C’è una sola strada: attualizzare gli inizi, il “primo Amore”, che non è un discorso o un pensiero astratto, ma una Persona. La memoria grata di questo inizio assicura lo slancio necessario per affrontare le sfide sempre nuove che esigono risposte altrettanto nuove, rimanendo sempre aperti alle sorprese dello Spirito che soffia dove vuole.
Come arriva a noi la grande tradizione della fede? Come l’amore di Gesù ci raggiunge oggi? Attraverso la vita della Chiesa, attraverso una moltitudine di testimoni che da duemila anni rinnovano l’annuncio dell’avvenimento del Dio-con-noi e ci consentono di rivivere l’esperienza dell’inizio, come fu per i primi che Lo incontrarono.
(…)
Quello sguardo sempre ci precede, come ci ricorda sant’Agostino parlando di Zaccheo: «Fu guardato e allora vide» (Discorso 174, 4.4). Non dobbiamo mai dimenticare questo inizio. Ecco ciò che abbiamo ereditato, il tesoro prezioso che dobbiamo riscoprire ogni giorno, se vogliamo che sia nostro. Don Giussani ha lasciato un’immagine efficace di questo impegno che non possiamo disertare: «Per natura, chi ama il bambino mette nel suo sacco, sulle spalle, quello che di meglio ha vissuto nella vita […]. Ma, a un certo punto, la natura dà al bambino, a chi era bambino, l’istinto di prendere il sacco e di metterselo davanti agli occhi. […] Deve dunque diventare problema quello che ci hanno detto! Se non diventa problema, non diventerà mai maturo […]. Portato il sacco davanti agli occhi, […] paragona quel che vede dentro, cioè quel che gli ha messo sulle spalle la tradizione, con i desideri del suo cuore: […] esigenza di vero, di bello, di buono. […] ,Così facendo, prende la sua fisionomia di uomo» (Il rischio educativo, Milano 2005, 17-19).
È la descrizione di questa prima giornata di Meeting, dove si rinnova lo stupore per una compagnia capace di generare giudizi nuovi e dotati di realismo. Giudizi da parte di chi ama la realtà e non la piega a giudizi preconfezionati.
Così, in particolare Luciano Violante, nel suo intervento delle ore 19, ha ribadito per ben due volte la sua stima e ammirazione per questa “strana compagnia”. Dapprima sostenendo che il Meeting è rimasto l’unico luogo dove si può parlare confrontandosi su valori, ovvero mettendo in gioco ideali che valgono per la vita (“confrontarsi e costruire tra persone diverse è uno dei grandi risultati del vivere”). Poi, interrompendo il suo discorso ampio e articolato su democrazia e cambiamento d’epoca, affermando: “Vedete, voi siete una cosa straordinaria, perché siete una comunità (…) non avete delegato la vostra vita a un terzo, siete voi i protagonisti”.
È notevole, e sorprendente, questo incontro di un uomo che, proveniente dalla tradizione della sinistra (e precisamente comunista, una provenienza che ben si avverte nelle sue analisi, alcuni profonde e geniali, altre che possono essere discutibili), trovi realizzato il suo desiderio di costruire una socialità nuova nella compagnia cristiana, riconoscendola come unico luogo rimasto oggi capace di questa coesione, di questo comune sentire in cui ognuno può essere protagonista. È impressionante la cordialità genuina con cui Violante parla ai giovani e meno giovani di questo popolo, in particolare nei momenti informali, come è accaduto oggi (quasi per caso) con una decina di riminesi, dimenticando lo scorrere del tempo e gli impegni precedentemente presi. Una forma di incontrarsi che è consueta al Meeting, che ne costituisce la sua stessa storia. Una storia costellata di questi grandi incontri tra diversità che si scoprono vicine e cordiali (per citarne alcuni: Tarkovskij, Evtuschenko, Testori, i monaci buddisti, Joseph Weiler, Wael Farouq, Bertinotti, Violante).
È un Meeting che non si sottrae alle sfide dell’oggi, come accaduto durante l’incontro sull’intelligenza artificiale e sulle sue affascinanti e inquietanti prospettive. Un Meeting che si confronta con l’attuale governo, portando il primo ministro Gentiloni a slanci di orgoglio nazionale di non poco conto e di cui occorre ritrovarne il significato più autentico (e non semplicemente retorico).
Il Meeting c’è e ripropone l’autentico messaggio cristiano, ovvero quello di un amore sconfinato per la realtà intera, senza alcuna pregiudiziale ma con la certezza che Cristo salva.
Domani, lunedì, (oggi per chi legge), tra i 4 o 5 eventi che personalmente giudico di rilievo, il must sarà l’ incontro tra l’abate Lepori e il monaco buddista Shodo Habukawa (vedi programma). Un’antica amicizia tra persone di differente cultura, iniziata con don Giussani e oggi più viva che mai.
Anche le recenti polemiche sui fatti di Manchester, in casa cattolica, possono aiutarci a capire meglio ciò per cui viviamo. Un’occasione per riflettere pacatamente e ripartire.
È senza dubbio con dispiacere che vedo, di fronte ad eventi così gravi come l’eccidio di Manchester, prevalere in alcune discussioni, il gusto della polemica e delle analisi, anziché sostare, almeno per un attimo, sul dramma che stiamo vivendo. Morti giovani, morti gratuite, il male orribile che si innalza sulla scena di quella che doveva essere vita e invece diviene morte. Tutto questo può essere spunto per battaglie, giudizi, considerazioni polemiche su una battaglia culturale e di civiltà, rilanciando -come è stato fatto con ironia e una punta di disprezzo- il tema dello “scontro di civiltà”?
Per quanto possa essere sacrosanta la battaglia, è questo il momento, è questa l’ora? Non ci riduce al metodo proprio di un Saviano qualsiasi ? (si veda al link la polemica sulla liberalizzazione della droga).
Tutto si decide nel momento e nell’ora. Più che non nei nostri concetti.
Ha colto bene questo punto (il vero motivo delle irritazioni nate di fronte alla lettera di mons. Negri, a cui va dato atto di aver espresso in ogni caso il desiderio di non rimanere indifferente al male che accade), il giornalista Luigi Geninazzi che risponde in maniera sanguigna su Facebook ad un articolo di Riccardo Cascioli che lo attacca, perché non entra a far parte della sacra battaglia.
“Caro Riccardo, nessun travisamento. Le parole di m. Negri sono chiarissime. E indecenti: “Avete vissuto male ma avrete un ottimo funerale”. Ti piace questo sarcasmo rivolto a bimbi e adolescenti morti a Manchester? Che ne sa mons. Negri di loro? Magari c’erano anche credenti. In ogni caso, dire che sono “vite sprecate” non consolerà certo i genitori e i nonni di quei ragazzi. Secondo te un simile giudizio avvicina la gente a Cristo? E non venirmi a citare Biffi, il giudizio sulla nostra società scristianizzata ecc ecc, tutte cose che condivido. Ma se questo si traduce nel “Avete vissuto come poveri coglioni e siete morti da coglioni ad opera di un coglione”, allora siamo decisamente fuori strada. Non cercare di difendere l’indifendibile, per favore.”
Non è questione di essere più o meno misericordiosi, più o meno volti alla verità o alla bontà (che ben sappiamo non si possono distinguere), ma è questione di chiarire ciò verso cui stiamo camminando, per cui anche questo doloroso fatto è un passo.
Quid est veritas? Est vir qui adest. Fuori di questo nessuna speranza.
Perché accade che affermando vigorosamente “ragioni”, si affermi in realtà il contrario e si alimenti, pur con un volto differente, il medesimo vuoto (in un gioco dialettico che farebbe la felicità di un Hegel o di un Marx)? Possiamo uscire da questo circolo che azzera l’unica risposta che – come cristiani e uomini – abbiamo da offrire alle vittime e all’uomo di oggi (egli stesso vittima) di una logica di morte?
Guardando a come don Giussani in situazioni analoghe reagiva, occorre innanzi tutto osservare che il contraccolpo immediato era del tutto differente. Un silenzio attonito – salvo poche e ben poco autorevoli voci – permeava il sentire comune, anche di chi pure partiva da posizioni del tutto lontane. Mi riferisco al Giussani maturo, capace di rompere il silenzio mediatico in cui era confinata la Chiesa con incredibile forza comunicativa, priva di ogni ombra di contrapposizioni artificiose. Si prenda ad esempio, il discorso diffuso sul tg2 in occasione della strage di Nassirya. Merita di essere riascoltato.
Quel che emerge in quelle parole è commozione per la miserevole condizione umana (di tutti) e la parola misericordia risuona in più passaggi Lo spunto sono le parole della vedova Coletta, che perdonò gli assassini del marito carabiniere.
Si ricorderanno anche le parole di don Giussani, dopo la tragedia delle Torri gemelle, al responsabile di CL degli Stati Uniti che le trascrive e diffonde agli amici. “Noi dobbiamo tener saldo il nostro giudizio e paragonare tutto con quello che ci è successo, in questo momento grave e grande… Dobbiamo ripetere questo giudizio prima di tutto a noi stessi. Questo momento è almeno grave quanto la distruzione di Gerusalemme. E’ totalmente dentro il Mistero di Dio… Tutto è segno…Preghiamo la Madonna…L’ultima definizione della realtà è che essa è positiva e la misericordia di Dio è la più grande parola. Questo è certo, occorre rimanere saldi nella speranza. Grazie a ognuno, uno a uno, per essere là”. E successivamente il telegramma a Bush, in cui assicura che tutti i membri di CL sono “vicini a Lei in un momento così doloroso per tutta la Nazione – e quindi per tutti gli uomini – per i tragici fatti di New York e di Washington DC, terribile affronto alla dignità dell’uomo”. Ed assicura la preghiera “per la Sua persona e per il Suo popolo affinchè insieme possiate raggiungere quella giustizia pacificante di cui avete sete e di cui tutto il mondo ha bisogno, dato il compito storico che gli Stati Uniti d’America hanno nei confronti di tutti”. E poi la frase posta sulla copertina di Tracce di settembre, dettata da Giussani: “Dio salvi il mondo. Se si mette Dio di fronte a tutti i peccati della Terra, sembra ovvio dire: “chi potrà sussistere? Nessuno si può salvare” E invece Dio muore per un mondo così, diventa uomo e muore per gli uomini. È misericordia il senso ultimo del Mistero: una positività che vince la presunzione e la disperazione”. E il Tracce di novembreriportaquesta ulteriore frase di Giussani “Se altri giungono fino al terrorismo, noi dobbiamo giungere fino a una coscienza che sopporta le estreme conseguenze della vita che il Signore ha creato. Questo è il contributo che i cristiani portano dentro il tante volte incomprensibile marasma del mondo: l’affermazione di una inesorabile positività per cui si può sempre ricominciare nella vita” . (Testi tratti da A. Savorana, Vita di Giussani).
Una forza che sbaraglia, ammutolisce, non genera alcuna polemica, non implica alcuna reazione dialettica. Semplicemente lascia ammutolito chiunque, qualunque idea abbia.
Ciò che genera questo giudizio, che ha i tratti di una novità e di una forza assoluta, si trova in quel sentirsi “come anfora vuota alla fonte” che Giussani ci ha insegnato in maniera continua e insistente. È questo senso, e sgomento, dell’esser nulla di fronte al tutto che eventi come quello dell’altro giorno rinnovano drammaticamente. E, in questo ritrovarsi nulla di fronte al tutto, scopriamo di essere assieme -per un attimo- a quel mondo così apparentemente lontano. È l’esperienza della povertà suprema, unica condizione per un incontro (oggi, non ieri, né domani) con il volto carnale di Cristo.
Una povertà che troviamo continuamente nelle parole del Gius e che trova sintesi potente nel verso di una canzone sui carnefici di Auschwitz di Claudio Chieffo: “non è difficile essere come loro”. Una canzone che ho imparato quando avevo più o meno l’età dei ragazzi morti a Manchester e che sicuramente sarebbe stato bello che anche loro conoscessero -più che non altre parole e canzoni-, ma che impone l’azzeramento di tanti pensieri. Per un attimo. Per un momento.
Per questo il volantino della comunità inglese di CL ha colto duplicemente nel segno. Da una parte il riconoscimento di una Pietà che in situazioni come questa finalmente riemerge dal fumo di una società confusa. E che non può che trovarci in una posizione simpatetica, prima ancora che farci tuffare nel mare dei distinguo (che potranno senza dubbio arrivare, che potranno e dovranno essere messi a punto, a tempo debito nel frangente opportuno e con grande attenzione a non cancellare quel poco di bene emerso).
L’altra questione è che non sarà una visione della storia e dell’uomo a salvarci.
“La Resurrezione non è un sogno, è un fatto, che è all’origine della nostra speranza in questi tempi bui. All’origine della nostra certezza che la vita di quei ragazzi non è andata sprecata. È quello che vogliamo testimoniare ai nostri amati compagni, uomini e donne.”
Nel Gius, il “donna non piangere” del nazareno era evidente nei toni, nella forza, nella magnanimità (la grandezza dell’animo che abbraccia tutto di te). Il volantino segue le tracce di questo giudizio, esprime l’esperienza di questo abbraccio e lo porta al mondo.
In questo momento di sgomento, mentre il mondo si ferma e dimostra la sua fragilità prima di riprendere le litanie consuete di questa vita dimentica dell’umano, occorre fermarsi insieme ai nostri compagni di cammino, riconoscendo lo sgomento e il dolore. Riconoscendo di essere “anfore vuote alla fonte”, tesi a rintracciare quell’abbraccio che, unico, può salvare (ed ecco il richiamo di don Giussani alla croce ed alla educazione del popolo – non certo per difesa di una civiltà che egli sapeva non esistere più-).
Ci ha dato lezione di questo, proprio qui a Rimini, il dott. Fossà, medico AVSI nelle terre dello “scontro di civiltà”. Nel suo intervento di sabato sera e nell’intervista Skype realizzata, ha risposto senza saperlo – non era ancora accaduto – a quanto si è poi udito, con quel suo vivere le cose, che ho definito “quasi mistico” per come riusciva a leggere il significato degli eventi, oltre le contingenze.
C’è una forza nell’umano che non si rassegna. In cui – sono sempre parole del dott. Fossà – soffia lo Spirito che dà vita (e che è irriducibile). I cristiani hanno un compito decisivo nella presa di coscienza di cosa esso sia.
Questa forza fa sì che un popolo – in cui ci si aiuta reciprocamente a riconoscere quel Volto, ovvero in cui si lavora per educarsi alla vita – si possa ritrovare in poche ore, rispondendo ad un appello del pomeriggio. E così, da pomeriggio a sera, possa gremire una chiesa per un rosario (pregare è il gesto più razionale, sempre!). E in quell’occasione sono d’aiuto a spazzar via qualsiasi ambiguità le parole del sacerdote, laddove afferma “siamo qui non per affermare Cristo contro il male, ma per lasciarci guardare da Lui, nel cui sguardo è salvato tutto, anche il male” (cito senza pretesa di essere testuale). Affermazione che fotografa perfettamente la posizione dei cristiani in medio oriente, del tutto lontani dai nostri scontri di civiltà ma capaci di vivere da uomini in mezzo alle condizioni più avverse (sempre il dott. Fossà riferendosi ai campi profughi di Erbil e a Damasco: “in loro non un segno di rabbia, non una polemica, non un lamento, ma una inspiegabile letizia. Non sapevamo spiegarci come fosse possibile.”).
La carezza del nazareno è ciò di cui ha bisogno il mondo (e ognuno di noi) per ripartire e costruire realmente la civiltà della verità e dell’amore. Ringrazio i tanti amici che già sono incamminati in quest’opera e che mi conducono quasi per mano.
Inauguro con questo articolo, una serie di pubblicazioni che saranno a supporto delle mie lezioni. Rilevo da sempre che quanto nasce come dialogo con gli studenti sia di straordinaria attualità e interesse per tutti. Ecco dunque la sperimentazione di questi articoli “ibridi”: nascono dalla vita a scuola per giungere all’attenzione di tutti, nella speranza di avere tempo ed energia per moltiplicarli. Potranno essere aggiornati e ripubblicati in date successive, a seconda delle esigenze delle mie lezioni, entro il cui contesto nascono.
Lo scorso anno, un’alunna – non di una mia classe-, in un momento di studio comune tra più studenti di varia provenienza, con estremo candore, esclamò: “Sì certo, il nazismo è nato in ambito cristiano ed anti-ebraico. È una espressione del cristianesimo”. Alle mie obiezioni, che si incentravano sul carattere neopagano del nazismo, come facilmente si evince dall’ideologia che il Fuhrer esprime nel Mein Kampf, le risposte della studentessa facevano leva su una chiara vulgata basata su elementi superficiali ma diffusi, ben propagandati e attestati anche nella scuola. Allora ci si lasciò con qualche domanda in più, ed è già tanto.
Eppure, nei due recenti viaggi, Berlino e ad Auschwitz, le nostre guide – di diverse provenienza culturale e in ogni ambito visitato (dal Museo ebraico alla Topografia del terrore, tanto al campo di concentramento di Auschwitz così come di fronte al totalitarismo rosso, ovvero al Museo della Stasi o alle carceri della Stasi) – hanno sottolineato sempre come tra le prime vittime dell’intolleranza nazista vi fossero stati i sacerdoti. “Sul campo”, le cose, i fatti, le questioni assumono i loro contorni completi.
Questa distanza – tra quanto raccontato in situazione e quanto recepito dai media a casa propria – mette bene in luce come vi siano distorsioni terrificanti in certe forme di esposizione storica.
Certo. Il concordato con Hitler, i silenzi imbarazzanti, il tentativo di evitare uno scontro diretto col regime (motivato dall’esigenza di evitare più profonde sofferenze al popolo stesso), posso essere letti come risposta errata della diplomazia vaticana ad una situazione di cui però si dovrà ammettere almeno la criticità. Arrivare invece a leggerne una collusione, anzi una coesione di carattere culturale, è decisamente una distorsione della prospettiva storica.
D’altro canto così si esprime il manuale (pur valido) in adozione nelle mie classi :
Il rapporto con le Chiese
Anche tra i cristiani vi furono degli oppositori ma soprattutto dopo il 1936. Nei primi
anni, infatti, il regime nazionalsocialista non incontrò difficoltà nei rapporti con le due Chiese tedesche, quella cattolica e quella protestante. (…). I cattolici in genere non manifestarono alcuna opposizione al regime, nonostante anche il partito cattolico del Zentrum fosse stato sciolto.
Una sintesi che può facilmente trarre in errore (solo in parte compendiata poi dalle righe successive). Fa infatti pensare ad un’adesione lineare, semplice, tranquilla da parte del popolo cattolico al regime, salvo qualche “testa calda”. Come vedremo più innanzi nel video che proponiamo – ricco di testimonianze dirette – le cose non stanno così.
Vi è chi vuol piegare il discorso tuttavia espressamente verso un’equazione decisamente antistorica e costoro, diciamolo pure, devono avere dalla loro parecchia forza economica.
Oliviero Toscani, nell’ideare il manifesto del film Amen di Costa Gavras pensò nel 2002 ad un’immagine che accostava i due simboli, la svastica e la croce, unificandoli. Un chiaro messaggio che intelligentemente la ragazza di cui sopra, chissà da quali altre fonti analoghe, raccolse. L’efficacia mediatica di professionisti ben pagati funziona. Lo sappiamo bene. Una identificazione che d’altro canto serpeggia nel film, in parte basato su documentazione reale, in parte su personaggi inventati. Una tecnica, anche questa, ben diffusa da tempo (parziali verità sono assai funzionali nel costruire una menzogna più credibile).
Ma basta poco per capire l’esatta entità -e complessità- delle cose.
Infatti il Nazismo è evidentemente un neo paganesimo che si ispira ad una ideologia irrazionalistica e vitalistica (e dunque contraria a tutta la tradizione teologica cattolica, nonché europea) e che pesca in miti pre-cristiani.
Così si esprime L. Poliakov in Il nazismo e lo stermino degli Ebrei, Torino 1961
Hitler sognava di estirpare la religione cristiana e di sostituirla con un nuovo culto e una nuova morale, “una fede forte ed eroica…in un invisibile Iddio del destino e del sangue”. Stavano a disposizione del “grande semplificatore” tutte le dottrine pangermaniste, le teorie razziste, le semplici credenze popolari che proliferavano in Germania; da esse egli trasse la materie prima per facili e accessibili dogmi. (…) …L’anima della razza, il sangue, il Volk, oggetti di sacra reverenza, resterebbero nozioni vaghe e fluide se non fossero rese tangibili agli occhi dei fedeli opponendo ad esse un’antirazza, un antipopolo.
Antirazza e antipopolo rintracciati per l’appunto negli ebrei. D’altro canto Albert Einstein, ebreo, così ebbe modo di esprimersi:
“Essendo un amante della libertà, quando avvenne la rivoluzione nazista in Germania, guardai con fiducia alle università sapendo che queste si erano sempre vantate della loro devozione alla causa della verità. Ma le università vennero zittite, e non protestarono. Allora guardai ai grandi editori dei quotidiani che in ardenti editoriali proclamavano il loro amore per la libertà. Ma anche loro, come le università vennero ridotti al silenzio, soffocati nell’arco di poche settimane, e non protestarono. Solo la Chiesa rimase ferma in piedi a sbarrare la strada alle campagne di Hitler per sopprimere la verità. Io non ho mai provato nessun interesse o stima particolare per la Chiesa prima, ma ora provo nei suoi confronti grande affetto e ammirazione, perché la Chiesa da sola ha avuto il coraggio e l’ostinazione per sostenere la verità intellettuale e la libertà morale. Devo confessare che ciò che io una volta disprezzavo, ora lodo incondizionatamente”.
(da Intervista di Albert Einstein, Time magazine, 23 dicembre 1940)
L’espressione di Einstein fu da lui successivamente confermata, seppure moderata, come si desume da una lettera (1943) che conferma questo suo pensiero seppure in forma più blanda e sebbene successivamente affermi che non coincida con la sua posizione di fondo rispetto alla Chiesa. Rimane che egli sapeva della pubblica e che non venga richiesta al giornale alcuna smentita. Interessante peraltro la recensione al testo di Luciano Garibaldi, O la Croce o la Svastica, che troviamo sul sito di IBS, in cui si riportano alcune ulteriori testimonianze (poi ovviamente reperibili dentro il testo in maniera estesa).
Il primo religioso tedesco a finire in un lager fu il gesuita Josef Spieker. In una predica a Colonia, nel 1934, aveva esclamato: “La Germania ha un solo Führer ed è Cristo!”. Il primo a essere eliminato dai nazisti fu monsignor Bernhard Lichtenberg, arciprete della cattedrale di Berlino: aveva pregato assieme a un gruppo di ebrei. Non fu che l’inizio di una sfida che si concluse con il sacrificio di quattromila sacerdoti e religiosi cattolici. Il presente libro racconta la storia dei rapporti tra la Chiesa e il Nazismo chiudendo la disputa sui presunti silenzi di Pio XII, il papa che Reinhard Heydrich – il promotore della “soluzione finale del problema ebraico” – in un rapporto segreto definì “schierato a favore degli ebrei, nemico mortale della Germania e complice delle potenze occidentali”. Sono molte le vicende ricostruite da Luciano Garibaldi in queste pagine: a cominciare dalla testimonianza del generale Karl Wolff che ricevette da Hitler l’ordine di arrestare Pio XII, ma riuscì a vanificare quel progetto, meritandosi l’assoluzione a Norimberga. E poi i due enigmi che ancora accompagnano Claus Von Stauffenberg, l’ufficiale che il 20 luglio 1944 tentò di uccidere il Führer: se cioè sia vero che il colonnello prima di collocare la bomba si confessò dal vescovo di Berlino, ne ottenne l’assoluzione e si comunicò; e se si possa affermare che il Vaticano fu preventivamente informato dell’Operazione Valchiria.
A mettere in chiaro la situazione secondo canoni equilibrati, contribuisce una pregevole ed ampia documentazione storica, raccolta nella trasmissione del ciclo La Grande Storia di Rai 3.
Mettendo a disposizione anche filmati inediti, descrivendo il quadro dello sviluppo del regime in maniera complessa ed estesa, permette di superare sintesi divulgative, contraddittorie con la natura dei due fenomeni: la fede cristiana ed il nazismo. Il tutto, pur non omettendo tutti i passaggi più critici, tra cui il tentato compromesso (peraltro fallito, a dispetto del Concordato), inserendoli però nel loro contesto completo.
È davvero una visione preziosa per capire meglio ed acquisire una più precisa conoscenza di quel che il regime nazista fu nelle sue radici ideologiche, troppo spesso ridotte a un generico “fascismo” (che fu cosa ben definita e tutta italiana, con sue specifiche criticità) o ad un autoritarismo di destra, perdendosi invece il carattere quasi mistico e millenaristico che lo contraddistinse, rendendolo un fenomeno unico e terrificante nella sua macabra identità ideologica.
Una identità chiaramente anti europea ed anti cristiana. Aspetto che va detto chiaro e tondo, senza alcuna ombra e mistificante semplificazione.
Riproponiamo il documentario nella sua visione integrale dal sito Daily motion in questi due link.
Nessun mistero nella elezione di Trump (con il senno di poi).
E questa donna, Asra Nomani, ci aiuta ad aprire gli occhi sulla scelta degli americani: discutibile ma legittima (e persino ragionevole). Gli americani pagano l’inconsistenza ideologica di un pensiero liberal che non riesce a raggiungere la realtà delle cose: non realizza più giustizia (la riforma sanitaria non raggiunge chi ha bisogno) e fa danni irreparabili nel mondo, attraverso una politica estera (di cui la Clinton porta piena responsabilità) debole con i tagliagola islamici radicali e ipocrita.
Questo non implica ovviamente che la scelta di Trump sia la soluzione. Trump è un’enigma. Ma la certezza è il fallimento totale, chiarissimo nelle parole dell’intervistata, del programma del super osannato (a priori) primo presidente nero d’America (pulito, educato, liberal, cortese, nonché piacente).
Asra non è il popolo di “operai – elettori di Trump”, che Saviano equipara ai bambini killer di Napoli, come frutto delle nuove caste padrone del mondo. No. Non è solo risentimento, ma analisi lucida, definizione chiara di un fallimento. Quello del suo partito, della sua cultura democratica (in cui pure è immersa). E ancora una volta la tracotanza engagé degli intellettuali non capisce. Ma le reazioni alla Saviano, pur meno articolate, si sono moltiplicate in questi giorni, ferme allo scandalo su come si faccia a votare uno come Trump. E invece Asra ce lo spiega in due battute e ci fa un po’ arrossire di vergogna per l’incredibile incapacità di analisi dimostrata da tutti.
Ma c’è dell’altro. Stupisce la certezza di Asra nei confronti della società e cultura americana come capace di prendere altra piega rispetto agli slogan elettorali sconsiderati di Trump (“Non ho nessun timore ad essere musulmano in America”, sostiene a fine intervista). C’è una fede nell’occidente e nell’America, che deve tornare ad esserci familiare.
È vero. Ne sono certo anche io e l’ho espresso ai miei studenti da subito. Gli Stati Uniti mai potranno diventare quelli descritti da Trump nella campagna elettorale e sembra che le prime mosse vadano proprio in questa direzione (addirittura l’ipotesi di avere Bill Clinton come consulente, si legge oggi). Ma sentirlo da una immigrata mussulmana che vive in America conforta, seppure ovviamente la scommessa rimanga aperta.
Paradossale che l’America debba imparare ad avere fiducia in se stessa da questa “straniera”.
È giunto il momento di interrogarsi sul perché e per quale origine l’America possa infondere questa certezza. La scommessa è decisiva non sono per il popolo americano, ma per tutto il globo.
La certezza di Asra deve ritrovare le sue solide fondamenta. Più solide della politica spettacolo di questo deprimente scontro elettorale. Piu solide di un programma elettorale conservatore o liberal.
Sarà bene dunque cantare non più God bless America, ma God save America. Ne abbiamo bisogno tutti.