Il cuore vuoto e il cuore chiuso

Il Meeting 2017 procede nel cammino verso l’approfondimento del carisma di Giussani, riconosciuto sempre più decisivo per approcciarsi al presente. Un carisma, che, come ben delinea la mostra – brevissima ma di notevole chiarezza – che si trova sul retro del banco dell’ International Meeting Point, non coincide con alcune “forme di presenza” o alcuni giudizi ma con l’immedesimazione completa, totale e appassionata con Cristo, vissuto come “stoffa dell’essere”, come radice di cui ogni cosa vive. E dunque fonte di giudizio libero e appassionato su tutto.

Un giudizio che si compie grazie all’aiuto dell’ “altro”, del diverso, di colui che non ti aspettavi.

Questa libertà è quanto Giussani ha vissuto ed ha tentato di insegnarci. Una libertà che nasce da una dimensione di rapporto con il Mistero, quasi fosse una “mistica” incarnata nella storia.  Non a caso, il momento topico del meeting 2017 può essere identificato, ad oggi, nell’incontro tra due monaci, ovvero due uomini che di mistica se ne intendono. Ebbene in questa “mistica” si può trovare la radice per una nuova passione per la Polis, una passione capace di superare vecchie forme, lontane davvero un millennio.

Lunedì scorso si è parlato dell’amicizia tra don Giussani e Abukawa, il monaco buddista del Monte Koya, il più profondo centro spirituale del Giappone (interessante leggere l’articolo sul Quotidiano Meeting dove un’appassionata orientalista scopre casualmente che nella sua Rimini sarebbe venuto colui che, per incontrarlo, dovette raggiungerlo in Giappone, dove peraltro aveva trovato misteriosamente le stanze costellate di foto del Meeting di Rimini). Quel Giappone così ostile ai valori cristiani, come ci è stato ricordato dal film Silence recentemente. È proprio con Abukawa che oramai da trent’anni nasce e si conserva un’amicizia profonda e intensa, per nulla limitata dalle “differenze culturali”.

L’incontro del 21 (lunedì scorso) tra l’abate generale dei Cistercensi, Mauro Giuseppe Lepori, e Shodo Abukawa – Lepori ha ereditato tale amicizia da don Giussani – è stato un approfondimento eccezionale di qual sia il compito del cristiano, di fronte alle sfide del nuovo millennio.

Liberi da ogni formalismo, hanno pregato assieme (in una forma rispettosa del credo di ognuno, senza sincretismi), hanno relazionato e testimoniato il valore di un incontro tra uomini che si fonda sul comune rapporto con il Mistero, come bene ha sintetizzato Alessandro Caprio sul Quotidiano Meeting (pag 1 e pag. 3). (Ma è assolutamente imperdibile la visione dell’intero incontro cliccando qui.)

In particolare Lepori ha posto alcune sottolineature che risultano decisive per il futuro della Chiesa e dell’uomo contemporaneo, così restio ad abbracciare una tradizione che considera un peso, un intralcio, una sorta di residuo che funge da zavorra nel suo confuso errare verso una realizzazione, che pure gli appare sempre più una chimera. Giudizi che possiamo considerare sciagurati, e che tuttavia stanno lì, inamovibili e rocciosi. Tanto più rocciosi, quanto più l’uomo, ferito, sanguina e ansima, straziato dal dolore di un’esistenza che appare sempre più vuota. Eppure, sempre più chiaramente, questa situazione emerge come una grande risorsa, da cogliere per il bene di tutti.

Lepori ha letto il contenuto di una calligrafia, realizzata da Abukawa e portata a lui in dono, in cui si afferma una vecchia espressione di Kobo-daishi, il fondatore del Buddismo Shingon: “Tutti quelli che vanno a trovare un grande maestro o una persona virtuosa, hanno il loro cuore vuoto. Ma grazie all’incontro con lui, tutti saranno salvati e torneranno sulla strada di casa con il loro cuore pieno di soddisfazione”.

Lepori ha colto, a partire di qui, la grande dicotomia che abbiamo di fronte oggi. Oggi si tratta di scegliere, se avere “un cuore chiuso o un cuore vuoto” (Lepori ha più precisamente detto che “l’alternativa a un cuore vuoto è un cuore chiuso”).

Questa espressione, lapidaria e fulminante, nasconde un chiarimento essenziale di fronte a  tutta la fatica della chiesa e dell’uomo di oggi. Il grande compito rispetto a cui il papa sta incoraggiando instancabilmente  l’umanità intera. Esortazione che lo rende l’unica autorità morale del presente, come più osservatori hanno affermato.

La via di uscita, oggi, non è un cuore pieno. Bensì sostare sul quel vuoto, non temerlo, condividerlo con l’uomo d’oggi, cercare chi avverte questo smarrimento di fronte al Mistero, per ritrovarsi di fronte alla dimensione ultima della vita, sostare di fronte a quel Tu che unico può riempire la vita (Giussani ci insegnò: “Io sono Tu che mi fai”).

Se non raggiungiamo questo livello ultimo e profondo (per questo si parlava di mistica, non si fraintenda con uno spiritualismo), oggi nessuna risposta “della terra di mezzo” può apparire significativa. Il cristiano, come d’altro canto ha ben chiarito Costantino Esposito con il suo momento “Profeti del nostro tempo”, ha l’occasione di comprendere più pienamente la sua fede, potremmo dire se stesso, la propria identità (che non si identifica con quanto già costruito, ciò di cui Vittadini in maniera provocatoria ha detto di “non sapere che farsene”) in un mondo che crolla. Il nichilismo dell’uomo contemporaneo, vissuto come grido, è la grande opportunità perché l’uomo torni a vedere Cristo, e non sue propaggini, sue conseguenze, sempre e comunque insufficienti.

Seguendo la suggestione di Lepori si può dire che fare cultura oggi (rendere la fede cultura) è soprattutto costruire “relazioni che rendano eterne quelle costruzioni” (di mura, di idee, di valori) che la storia sta spazzando via. Costruire ciò che le rende eterne, cosicché quand’anche venissero spazzate vie le idee, le mura, i valori, nulla cambierebbe perché ne sarebbe mantenuta l’origine. Si comprende bene il carattere invincibile di tale posizione. Quand’anche l’ISIS facesse crollare San Pietro, non saremmo perduti, se (e solo se) vivremo questa dimensione.

È la strada. La nuova ed antica strada, in un momento di ricostruzione di civiltà (una ricostruzione i cui frutti probabilmente, in termini di “strutture” la nostra generazione non vedrà, come d’altro canto la generazione di S.Agostino non vide la societas christiana ).

È decisamente un approfondimento notevole, che chiarisce, distilla, precisa tutta la vita di CL, riprendendo tutti gli instancabili interventi del Gius per correggere un percorso che oggi si adagia con sempre maggiore docilità sulla linea maestra dell’esperienza viva e sorgiva nata da lui, dopo tanti “tentativi ironici”, preziosi ma per definizione da definire e correggere sempre. Oggi più che mai.

Possiamo dire che dalla “mistica” di Lepori (e Abukawa) e dal “cuore francescano” di Pizzaballa (che ha approfondito il tema del Meeting), nasce un nuovo impegno nel mondo, una nuova passione per la Polis, resa possibile da quell’agilità del cuore (espressione sempre di Lepori, in un successivo dialogo) che può rendere il nostro impegno libero di riconoscere i bisogni dell’oggi, in quanto libero da qualsivoglia schema. È quella ingenua baldanza che il Gius ci ha insegnato e che oggi riguadagniamo, scoprendoci con il cuore vuoto e ferito (come d’altro canto ogni uomo del XXI secolo) di fronte al grande Mistero che costituisce ogni cosa e che prende forma in maestri, talora impensati, talora perfino lontani, e diventa via e metodo nel grande alveo della nostra madre Chiesa.


Un Meeting che ci immerge in un tempo appassionante, dove la sfida è già vinta, ma tutta da riguadagnare.

Un Meeting dove il “popolo di Cl” in maniera massiccia comprende le nuove sfide, come attesta la presenza selettiva agli incontri che toccano questi nodi decisivi. All’incontro con Lepori la sala non ha potuto contenere la folla, che ha riempito all’inverosimile anche la Hall Sud, mentre le visualizzazioni su Youtube già hanno raggiunto  ben 2.800 visualizzazioni. Allo stesso modo, ed anzi superiore, una folla sterminata era presente all’incontro con Pizzaballa, anche qui ben oltre la capacità di contenimento della sala, a cui si aggiungono 5450 visualizzazioni su Youtube.

Da questo Meeting esce un popolo pronto e sensibile alle sfide del cambiamento d’epoca.


 

Meeting 2017: la riscoperta del proprio inizio

Papa Francesco ha descritto, in anticipo, l’effettiva prima giornata del Meeting 2017. Così si legge nel suo discorso di saluto:

Come evitare questo “alzheimer spirituale”? C’è una sola strada: attualizzare gli inizi, il “primo Amore”, che non è un discorso o un pensiero astratto, ma una Persona. La memoria grata di questo inizio assicura lo slancio necessario per affrontare le sfide sempre nuove che esigono risposte altrettanto nuove, rimanendo sempre aperti alle sorprese dello Spirito che soffia dove vuole.
Come arriva a noi la grande tradizione della fede? Come l’amore di Gesù ci raggiunge oggi? Attraverso la vita della Chiesa, attraverso una moltitudine di testimoni che da duemila anni rinnovano l’annuncio dell’avvenimento del Dio-con-noi e ci consentono di rivivere l’esperienza dell’inizio, come fu per i primi che Lo incontrarono.

(…)

Quello sguardo sempre ci precede, come ci ricorda sant’Agostino parlando di Zaccheo: «Fu guardato e allora vide» (Discorso 174, 4.4). Non dobbiamo mai dimenticare questo inizio. Ecco ciò che abbiamo ereditato, il tesoro prezioso che dobbiamo riscoprire ogni giorno, se vogliamo che sia nostro. Don Giussani ha lasciato un’immagine efficace di questo impegno che non possiamo disertare: «Per natura, chi ama il bambino mette nel suo sacco, sulle spalle, quello che di meglio ha vissuto nella vita […]. Ma, a un certo punto, la natura dà al bambino, a chi era bambino, l’istinto di prendere il sacco e di metterselo davanti agli occhi. […] Deve dunque diventare problema quello che ci hanno detto! Se non diventa problema, non diventerà mai maturo […]. Portato il sacco davanti agli occhi, […] paragona quel che vede dentro, cioè quel che gli ha messo sulle spalle la tradizione, con i desideri del suo cuore: […] esigenza di vero, di bello, di buono. […] ,Così facendo, prende la sua fisionomia di uomo» (Il rischio educativo, Milano 2005, 17-19).

È la descrizione di questa prima giornata di Meeting, dove si rinnova lo stupore per una compagnia capace di generare giudizi nuovi e dotati di realismo. Giudizi da parte di chi ama la realtà e non la piega a giudizi preconfezionati.

Così, in particolare Luciano Violante, nel suo intervento delle ore 19, ha ribadito per ben due volte la sua stima e ammirazione per questa “strana compagnia”. Dapprima sostenendo che il Meeting è rimasto l’unico luogo dove si può parlare confrontandosi su valori, ovvero mettendo in gioco ideali che valgono per la vita (“confrontarsi e costruire tra persone diverse è uno dei grandi risultati del vivere”).  Poi, interrompendo il suo discorso ampio e articolato su democrazia e cambiamento d’epoca, affermando: “Vedete, voi siete una cosa straordinaria, perché siete una comunità (…) non avete delegato la vostra vita a un terzo, siete voi i protagonisti”. 

È notevole, e sorprendente, questo incontro di un uomo che, proveniente dalla tradizione della sinistra (e precisamente comunista, una provenienza che ben si avverte nelle sue analisi, alcuni profonde e geniali, altre che possono essere discutibili), trovi realizzato il suo desiderio di costruire una socialità nuova nella compagnia cristiana, riconoscendola come unico luogo rimasto oggi capace di questa coesione, di questo comune sentire in cui ognuno può essere protagonista. È impressionante la cordialità genuina con cui Violante parla ai giovani e meno giovani di questo popolo, in particolare nei momenti informali, come è accaduto oggi (quasi per caso) con una decina di riminesi, dimenticando lo scorrere del tempo e gli impegni precedentemente presi. Una forma di incontrarsi che è consueta al Meeting, che ne costituisce la sua stessa storia.  Una storia costellata di questi grandi incontri tra diversità che si scoprono vicine e cordiali (per citarne alcuni: Tarkovskij, Evtuschenko, Testori, i monaci buddisti, Joseph Weiler,  Wael Farouq, Bertinotti, Violante).

È un Meeting che non si sottrae alle sfide dell’oggi, come accaduto durante l’incontro sull’intelligenza artificiale e sulle sue affascinanti e inquietanti prospettive. Un Meeting che si confronta con l’attuale governo, portando il primo ministro Gentiloni a slanci di orgoglio nazionale di non poco conto e di cui occorre ritrovarne il significato più autentico (e non semplicemente retorico).

Il Meeting c’è e ripropone l’autentico messaggio cristiano, ovvero quello di un amore sconfinato per la realtà intera, senza alcuna pregiudiziale ma con la certezza che Cristo salva.

Domani, lunedì, (oggi per chi legge), tra i 4 o 5 eventi che personalmente giudico di rilievo, il must  sarà l’ incontro tra l’abate Lepori e il monaco buddista Shodo Habukawa (vedi programma). Un’antica amicizia tra persone di differente cultura, iniziata con don Giussani e oggi più viva che mai.

Buon Meeting!

Barcellona, il Meeting e quel che accende la speranza

Il terrorismo è tornato a colpire. Siamo alla vigilia di un evento, qual è il Meeting di Rimini,  che da quasi 40 anni si colloca al centro della storia e dei cambiamenti epocali che hanno contraddistinto questo passaggio di millennio. L’inizio della settimana riminese non può non essere segnato dalle domande, dalle inquietudini, dal bisogno di trovare una strada che gli eventi di Barcellona sollevano.

In uno scambio di battute tra amici, in margine alla pubblicazione del breve ma significativo volantino di Comunione e Liberazione uscito dopo l’attentato di Barcellona, riferendosi al passo, “È più che mai necessario testimoniare l’amore alla vita che abbiamo conosciuto”, Marco ha esclamato: “è il motivo per cui continuiamo a fare il Meeting”.
Credo che nella semplice battuta di Marco ci stia tutto il Meeting. Una dimensione ancora oggi così ignota a tanti, anche assai prossimi all’evento riminese, da scoprire e riscoprire (parafrasando il titolo del Meeting: “Quello che tu erediti dai tuoi padri, riguadagnatelo, per possederlo”).

È l’origine del Cristianesimo. È l’origine del movimento di CL, nella figura oggi più che mai attuale di don Giussani. È quella  instancabile e indistruttibile passione per la vita e per la realtà, senza infingimenti, senza sovrastrutture e senza progetti, se non quell’ Uomo (Cristo) che ha fatto nascere una scintilla di speranza (“faccio nuove tutte le cose”) in tempi non certo migliori e più facili dei nostri.

Certo, è facile equivocare un evento che tratta di tutto (perché nulla è escluso dallo sguardo rigeneratore di Cristo, dalla politica alla storia, dalle scienze alla poesia, senza dimenticare, arte, filosofia, economia…) e su cui ognuno può porre il suo sguardo selettivo. Da sempre il Meeting ha subìto, sui media in particolare, uno sguardo ridotto tale da generare assurde polemiche, contro cui recentemente abbiamo avuto anche l’occasione di controbattere divertiti (per la banalità delle posizioni espresse). 

In genere sui media – in particolare a metà degli anni ’80- è la politica a farla da padrone (allora il Meeting era craxiano, ricordate?) e qualcuno misura l’evento solo a partire da quello. Poca cosa. D’atro canto, non si può che scrollar la testa a legger ancora oggi l’articolo su La Repubblica, laddove si colloca il Meeting tra le varie feste di partito o sindacali (“Fra Imola e Rimini, la Romagna protagonista dei raduni politici di fine estate. Cl parte per prima con il suo meeting.”). Una semplificazione che non coglie la realtà dell’evento, ovviamente. Un po’ come confrontare una processione con un Gay pride o una sfilata per la pace con un comizio di partito. Cose diverse.

D’altro canto lo stesso atteggiamento – cieco a quel che CL e il Meeting sono in se stessi – lo denota chi oggi tira per la giacchetta il movimento  perché si starebbe collocando troppo poco a destra, rispetto ad anni fa. Come se non fosse cambiato nulla nell’Italia attuale. Come se il movimento si fosse identificato con uno schieramento o con una soluzione politica. Come se nella letteratura cristiana non esistesse un documento, assai amato dentro il movimento, che proclama che il cristiano è “senza patria” (Lettera a Diogneto).

Da questo punto di vista, la libertà dalla politica che vuol dettare l’agenda e costruire una sua patria a chi invece è libero (venga questa agenda da destra come da sinistra, che sia quella di chi comanda, come quella di chi vorrebbe comandare), ben la esprime Vittadini con la sua intervista al Corriere. Giudizi che potranno essere veri o sbagliati, ma che indicano un criterio di libertà e realismo interessante. Peraltro di forte pertinenza rispetto ai rischi di semplificazione e banalizzazione che il dibattito politico in Italia sta correndo da qualche tempo (nell’articolo si parla dell’illusione di un “uomo solo” – di nome Renzi, o Berlusconi o Grillo, non importa – che possa risolvere i problemi dell’Italia).

Certo, per chi fisicamente non sarà presente in fiera in questi sette giorni (la stragrande maggioranza degli italiani, ovviamente), restano i media, che riferiscono del Meeting come di un “raduno politico”.  Siamo di fronte a quanto oggi troppo spesso accade nei dibattiti (e non solo in quelli dei media, ma anche tra la gente). Una sorta di terrore della differenza, della complessità e della ricchezza della realtà. Ancora una volta siamo vittime di una semplificazione funzionale. Sui media, si tratta di semplificare la realtà in caselle pre-digerite, perché possa essere assimilata da persone dall’intestino pigro. E così al destrorso si conferisce l’idea di una meeting “festa dell’unità”, al sinistrorso si conferisce l’immagine di un meeting sempre pronto a seguire il grande capitale, al “pro life” si offre l’idea di un meeting disattento ai temi etici, ecc. Il tutto con pezzetti di realtà, ben isolati dal tutto. L’esito è quello di solleticare l’istintiva insofferenza che una situazione di crisi rende così viva  nelle persone e dunque farsi leggere. La vittima è la realtà, ma non solo. Vittima è anche la speranza, quell’inizio di vita che affiora, soffocato dal clamore e dall’iracondia.

Invece quel “tutto”, ovvero quell’ “altro” di cui parlavamo prima, resta la cosa più interessante e la risposta veramente pertinente ai grandi drammi dell’oggi. Drammi e problematiche che, sfogliando il programma del Meeting, si ritrovano in abbondanza. Quell’ “altro” da riguadagnare per possederlo realmente e non lasciarsi trascinare nell’orbita di una cultura della morte.

È un cammino che sta accadendo nel mondo intero attorno al movimento ed alla Chiesa. Significativa (ed anche divertente nella sua vivacità e semplicità), a questo proposito, la presentazione della Bellezza disarmata, il testo di don Julian Carron, attuale guida di CL, proprio a Barcellona, la città martoriata dai “cultori della morte”.

Dialogando con Pilar Rahola, giornalista di La Vanguardia, atea e protagonista di tante battaglie civili spesso lontane dalla tradizione cristiana, si trova un punto di interesse comune fondamentale, che la stessa giornalista ha sottolineato, scrivendo un articolo all’indomani del suo incontro con Carron. Così si è espressa su La Vanguardia“In alcuni passi del libro, Julián parla della fine dell’Illuminismo, un Illuminismo che ha operato bene nel porre la ragione al centro dell’universo umano, ma male nel credere che questo fosse l’unico motore possibile. Certo è che, dalla mia posizione di non credente, sono d’accordo con lui: l’Illuminismo ha fallito nel suo intento di porre la ragione come misura e soluzione di tutto. Per questo motivo in questo momento di profondo smarrimento, con ideologie totalitarie che ci minacciano e democrazie in pieno naufragio, la parola di Gesù torna a essere un’idea luminosa.” E conclude dicendo: “Termino con una provocazione: che i cristiani escano dall’armadio. Forse non tutti abbiamo una fede come la loro, ma la loro fede rende tutti migliori.

Ma merita di essere ascoltato per intero il video dell’incontro.

E buon Meeting a tutti coloro che vogliono uscire dall’armadio delle loro ideologie !