È veramente poco interessante, come sostiene Renato Farina su il Giornale, la discussione sui media relativa ai presunti o reali “nuovi corsi” di CL (“Non ho nessuna voglia di spiegare la nuova pelle e ripetere le vecchie palle su Cl”). Ciò che manca in questi dibattiti – interni o esterni che siano – è quanto lo stesso Farina ricorda alla fine del suo pezzo (“Polemiche mediatiche ogni volta diverse, ma qui è il posto dove si rinnova l’unica domanda seria: che cosa vogliamo farne della nostra vita?”). Fuori di questo semplice riconoscimento vi è ideologia, ovvero la sostituzione alla realtà di proprie interpretazioni riduttive, generalmente legate a un progetto o un interesse specifico. Un esercizio quanto mai comune, purtroppo, e decisamente anti giussaniano.
Chiarito ciò e superate le polemiche da mercato rionale (anche se targate Repubblica), così come quelle su presunte modalità migliori di affrontare problemi di complessità geopolitica irrisolta da mezzo secolo (vedi crisi di Cuba), si può tornare a parlare di un Meeting che in tanti hanno definito tra i più belli di sempre per ricchezza di spunti e di proposta.
Provo semplicemente a raccontare il “mio Meeting” come ho sempre fatto, fin da quando scrivevo per La Voce, senza alcuna pretesa ovviamente di interpretare il “messaggio del Meeting” (se mai vi è un qualcosa di simile).
Parto dalla testimonianza del 19 agosto di monsignor Camillo Ballin, Vicario apostolico dell’Arabia del Nord, durante l’incontro Vivere da cristiani. Il vescovo ha chiarito come si possa vivere e affermare che l’altro è un bene anche in una condizione difficilissima e di grandi limitazioni di azione. È la risposta ad una domanda che in tanti prima del Meeting avevano: come si può dire “tu sei un bene per me”, quando l’altro non ti sopporta, non ti vuole, agisce per sopprimerti?
Mons. Ballin dichiara di “non aver mai convertito nessuno” (ha raccontato che i pochi che, arabi, avevano chiesto di battezzarsi erano in realtà spie mandate dal governo per farlo cadere in trappola, e ha ricordato che chi abbandona l’Islam in quei paesi è destinato alla morte -), ma ha testimoniato una fede interamente vissuta e ha definito la loro terra come una terra ricca poiché “noi mandiamo nei vari paesi del mondo una ricchezza molto più grande dell’esportazione del petrolio, mandiamo discepoli di Gesù Cristo” (ndr: cliccando su questi link si rimanda alla posizione esatta del video. In questo caso, mons. Ballin prosegue fino a commuoversi mentre racconta quanto grande sia la sua gioia allorché incontra in quelle terre un cristiano che riesce a testimoniare con la propria vita la bellezza della fede). Una posizione, quella del prelato, che (senza nascondere alcun problema e negare le necessarie azioni) spazza via ogni tentazione di contrapposizione e di polemica, -o di lamento -, per affermare un positivo possibile da subito e per giunta con chi è nemico.
http://https://youtu.be/5nMRN6i3FrA?t=48m53s
È proprio la testimonianza dei cristiani sofferenti per la propria fede nel mondo a guidare, già da anno scorso, la posizione da tenersi nei confronti dell’Islam ma anche nei confronti delle sfide che si vanno aprendo su tutto il mondo. Ed è la posizione di chi vive, con una tenacia che ha dell’incredibile, la speranza della fede in maniera incrollabile.
Prima di giungere all’esplicitazione più diretta del tema del Meeting, facciamo un rapido passaggio sull’incontro, sempre del 19 agosto, che aveva a tema i rapporti di Guardini e Giussani con la modernità. Sono interessanti, infatti, alcuni chiarimenti di argomenti che non possono essere ridotti a mito, come purtroppo, ascoltando alcuni dibattiti recenti, pare accadere. Ci riferiamo alla banalizzazione e idolatria di un’età stupenda come il Medio Evo – (vedi quanto afferma qui Borghesi) – che merita la considerazione e l’analisi articolata della storia e non di una vulgata di segno uguale ed opposto rispetto a quella illuministica.
L’incontro sul tema del Meeting, ricco di riferimenti personali e con una toccante conclusione, è con lo scrittore Luca Doninelli, tema chiarito però in maniera rapida ed estremamente efficace anche dalla docente russa Tat’jana Kasatkina, Direttore del Dipartimento di Teoria della Letteratura presso l’Accademia Russa delle Scienze, la quale, esplicando il tema del Meeting rispetto alla letteratura (l’incontro era La Vita Viva. Leggendo gli “Scritti dal Sottosuolo” di Dostoevskij) ha chiarito la dinamica dell’altro come essenziale per il respiro dell’io. In un successivo incontro informale, la Kasatkina ha offerto una sorta di fondazione teoretica di questa affermazione. Ha specificato che l’uomo, in quanto uomo, non vive del suo istinto ma della libertà. Tuttavia vivere nella libertà risulta difficile, scomodo, disagevole. Pertanto ecco affiorare la necessità di sostituire l’istinto con parametri di comportamento fissi, regole morali o modelli culturali che determinano sé e la società. In questo modo però si disperde nuovamente la libertà (ciò che vi è di più autenticamente umano), accomodata in consueti schemi, ripetuti meccanicamente. Ciò da cui ci si era liberati, la rigidità meccanica dell’istinto, torna in forma diversa. L’altro, dunque, con la sua forza dirompente, è l’opportunità del rifiorire della libertà. L’altro, con cui entro in scontro, mi obbliga al cambiamento, sempre scompagina le mie misure, ed è l’ occasione per recuperare la dimensione della libertà, della scelta, del mettersi in gioco. Ovvero la dimensione autentica dell’io. Una dimensione sempre drammatica e che Dostoevskij descrive persino come infernale. Durante l’incontro su Dostoevskij, la Kasatkina aveva magistralmente delineato la dialettica dell’io e dell’altro, a questo punto dell’incontro fino alla conclusione (5 minuti), punto complesso e tutto da meditare, che ci porta completamente all’interno della famosa frase evangelica “ama il tuo nemico”.
Non difficile dunque comprendere perché l’intervento di Antonio Spadaro, che ha descritto la geopolitica del papa, intesa come geopolitica della Misericordia, risulti centrale, e programmatica, in più di un passaggio. Spadaro, che ha candidamente confessato che “le cose che dico non le ho ancora capite” e il cui intervento merita molteplici analisi, ha parlato di superamento del Costantinismo, ovvero la grande utopia di costruire il Regno di Dio sulla terra, propria poi di tutto il Medio Evo, ma anche di tante forme di presenza dei cattolici nella società fino all’altro ieri (il suo riferimento è stato al “partito” dei cattolici). È questo il passaggio più delicato e che sicuramente farà più discutere, ma la precisazione di queste affermazioni e la riflessione che seguirà nei prossimi mesi saranno sicuramente decisivi per tutta la Chiesa e la società intera.
In questi passaggi, qui sommariamente delineati, si avverte la presenza del respiro della storia, di prospettive cioè che si vanno aprendo a dimensioni, universali, tali da abbracciare l’umanità intera. È la stessa vibrazione che, nell’incontro con don Giussani, ha generato quel cordone ombelicale che ci lega al mondo e che a sua volta ha fatto nascere il Meeting.
Dove porti questa dimensione di cambiamento epocale non lo sappiamo. Certamente sarebbe folle non accettare la sfida che abbiamo di fronte, in nome di una presunta fedeltà al movimento, individuata in certe forme e in certi temi, quando in questi 60 anni siamo stati capaci di una crescita e maturazione impressionante, attraversando fasi tra loro decisamente eterogenee.
Se è vero, come tutti ammettiamo e gli ultimi papi incessantemente hanno ripetuto, che siamo non “in una epoca della crisi, ma all’interno della crisi di un’epoca”, non possiamo rimanere fermi, pena l’afonia, ovvero l’incapacità di parlare all’uomo di oggi, oppure pena il destino di costruire un piccolo residuo della storia, destinato a tradire la vocazione “cattolica” (universale) dell’incontro con Cristo.
Non son certo queste le “minoranze creative”, di cui si parlava qualche anno fa…
Occorre invece avere coraggio. Lo stesso che Giussani ebbe entrando nelle scuole, armato solo di Cristo e della ragione. Il coraggio che il papa riconosce al Meeting, proprio all’inizio del suo discorso di saluto.
Ed è proprio il papa, che CL convintamente segue, che indica l’unica realtà capace di “tenere” di fronte a questa situazione drammatica: l’esperienza di Cristo, presente in una comunità umana prossima e visibile, e che si manifesta in una sorta di abbraccio, come ascoltiamo ripetere incessantemente sia dal papa che da CL.
Cristo: una presenza “altra” che rigenera la vita.
Ma questo non è ciò che sempre ci ha detto don Giussani?