Sarà Marco Ponselè, il testimonial della serata che il Coro popolare e l’Ensemble Amarcanto regaleranno alla città sabato sera alle ore 21, presso il Novelli dei Rimini.
Marco, giovanissimo, da un anno lavora in AVSI. Una scelta professionale ma anche di vita, di ricerca di un lavoro che possa permettere di realizzare il “sogno della giovinezza” (Giovanni XXIII).
In Marco l’entusiasmo per una vita che si va costruendo (e nel migliore dei modi) è palese, ed è contagioso. Nelle sue parole i drammi dell’Uganda, del Sud Sudan, del Kenia non sono occasione per una cupa percezione di quello che non va (ed è tanto), ma un terreno da arare, un campo di lavoro, una strada, pur irta di ostacoli, da percorrere con energia e sguardo aperto al futuro.
Marco ci ha parlato del primo suo vero incontro con AVSI, frutto di un viaggio e di una collaborazione nata ai tempi della tesi di laurea in Università Cattolica in management, per la quale passò un periodo in Kenia. Un incontro che nel tempo si è trasformata in una scelta di lavoro.
Nel descrivere il suo lavoro, definito come “corrispondente” al suo desiderio, ha toccato quelle realtà di AVSI che proprio il concerto di sabato andrà a sostenere, ovvero l’Uganda.
Colpito dal desiderio di riscatto e di costruire la propria vita che le persone incontrate in Africa gli hanno testimoniato, Marco ha sottolineato come “tale desiderio rimanga dentro”, costituisca la molla per cui si possa costruire una realtà grande come AVSI. Un desiderio di costruire la propria vita e la società che fa sì che la scuola di Kampala sia tale “da far invidia a tante nostre scuole”, un luogo bello, “dove desideri starci”. Dunque una positività e una vita rinnovata, di cui sentiamo tutti il bisogno. Anche noi comodi occidentali.
Ma merita di essere ascoltata per intero questa clip di soli 15 minuti, ma decisamente intensa.
In attesa del concerto del Coro Popolare di sabato prossimo, abbiamo intervistato Lorenzo Franchi, responsabile della Campagna AVSI 2018, ovvero la raccolta fondi che permette di sostenere ben 149 progetti sparsi in 30 paesi del mondo.
Con lui vogliamo capire meglio le ragioni di un impegno divenuto così esteso e tale da riguardare un numero sempre crescente di volontari.
Lorenzo partiamo dal tema che avete scelto quest’anno. La casa. Perchè?
L’idea di casa che stiamo raccontando non è solo un luogo fisico, ma un luogo dove una persona si può sentire accolta, guardata, curata se ne ha bisogno. Intendiamo tutti quei luoghi dove una persona può intrecciare relazioni. È la casa intesa come dimora, come luogo in cui trovare se stessi. Questo concetto si presta bene come “ombrello” che raccoglie i vari progetti che sosteniamo quest’anno: il progetto della Luigi Giussani High School di Kampala, l’asilo di Qaraqosh, Portofranco in Italia e gli “ospedali aperti” in Siria. È decisamente interessante, in tal senso, quanto dice in un video girato a Kampala, all’interno del quale un prof. della scuola afferma: “chiunque viene qui si sente a casa”, concetto ribadito da un ragazzo, durante l’inaugurazione dell’anno della scuola. Cerimonia importante con studenti, famiglie, i prof., autorità, e prende la parola Odong, uno studente, dicendo “questa non è una scuola” e si interrompe. Istanti di silenzio, tra il terrore degli insegnati che hanno pensato “chissà cosa dirà adesso!”
Poi prosegue: “questa non è una scuola, perché questo posto è casa mia. Qui infatti sono atteso, guardato e amato in ogni istante. È per questo che al mattino non cammino ma corro per venire qui.”
Notevole. Vogliamo fare una panoramica sugli altri progetti sostenuti questo anno?
Partiamo dalla Siria. In un paese straziato dall’odio, ridotto in poco tempo a condizioni inimmaginabili tra cui l’emergenza sanitaria che è altissima (si parla di 11 milioni e mezzo di persone che non hanno possibilità di curarsi), nasce nel 2016, grazie alla sollecitazione del nunzio apostolico Mario Zenari, il progetto Ospedali aperti. È un progetto che porterà cure a 40mila persone. Già quest’ anno abbiamo curato 4mila persone. Una goccia nell’oceano, ma accogliere gratuitamente tutti (vi sono ospedali funzionanti, ma a pagamento e le persone non possono accedervi), senza distinzione di credo (accogliamo cristiani, sunniti, sciiti…) o di provenienza, è una grande rivoluzione in un paese connotato dall’odio.
In particolare l’intervento su cosa verte?
Abbiamo potenziato tre ospedali, con macchinari, strumentazioni, strutture. Abbiamo istituito un ufficio per valutare i casi di più forte urgenza e di reale bisogno (verificando che siano veramente persone prive di risorse). Ospedali aperti accende una speranza, perché fa capire che si può essere accolti per quello che si è, senza alcun retropensiero o interesse. In un paese dilaniato per ben 7 anni da una guerra che nasce da pretesti religiosi, la nostra presenza fa comprendere che ci può essere un modo diverso di vivere.
Passiamo all’asilo di Quaraqosh.
Qui è particolarmente evidente il concetto di casa. Liberata la città dall’ISIS, i 50mila profughi che in tempi rapidissimi erano dovuti fuggire nel 2014, ora possono tornare. Ma tutto è da ricostruire. La prima cosa che hanno chiesto è stato di costruire un asilo per i propri figli, sulla scia dell’esperienza entusiasmante vissuta nei campi profughi, dove avevamo iniziato un’esperienza simile. È lì, nei campi profughi di Erbil, che li avevamo incontrati. Offrivamo loro la prima assistenza ma poi è nato un asilo di 150 bambini. E’ da quella esperienza che hanno voluto ripartire. L’asilo è cresciuto fino a raggiungere 400 bambini. E’ l’unico funzionante ed è il centro, il volano, della rinascita della città.
L’obiettivo è quello di ricostruire l’umano, cosa ben più difficile (e importante) che non ricostruire gli edifici.
Portofranco invece opera in Italia…
Portofranco, la rete di docenti che aiuta gratuitamente ragazzi in difficoltà con lo studio, sta incontrando centinaia e centinaia di stranieri. Sta diventando cioè uno strumento di integrazione eccezionale, un luogo dove italiani e stranieri, alunni e docenti, si incontrano e si riconoscono nel bisogno di crescere, di imparare un metodo, di trovare un terreno comune. Portofranco sta facendo molto per l’integrazione.
Tornando all’Uganda, la situazione come si configura?
La situazione è di grande povertà. L’Uganda accoglie un milione e cinquecentomila profughi del Sud Sudan, dove una guerra che si sta protraendo dal 2013 ha già causato 50mila morti. Un paese duramente provato, che vede AVSI presente da tanto tempo. Qui fortissimo è il rapporto con Rose Busingye, l’infermiera che ha costituito un centro di assistenza per donne ammalate di AIDS a Kampala.
La Luigi Giussani High School, l’hanno voluta loro per i propri figli, perché rinate in un rapporto personale con Rose hanno voluto che per i loro bambini potesse aprirsi una speranza, ovvero la possibilità di vivere la bellezza della vita che hanno cominciato ad assaporare. (si veda integralmente il video linkato sopra, dove Rose interviene più volte).
Senza dubbio, in questo mare di bisogno, l’opera di AVSI è una goccia…
Certo, e vorremmo fare molto di più, avere molte più risorse. Ma non è questo il punto. AVSI intende educare le persone. Ogni intervento tende a generare una novità in chi ci incontra così che questa vita nuova possa poi dilatarsi. La sfida è la possibilità di far crescere dei soggetti vivi, nelle zone del mondo disastrate ma anche qui in italia.
È una sfida, dunque, che riguarda ognuno di noi. Riguarda anche il semplice volontario che aiuta la campagna con un’iniziativa come le tante nate a Rimini, tra cui quella del Coro.
Cosa significa per te lavorare in AVSI?
Oltre ad essere una professione, AVSI per me è un luogo dove posso avere uno sguardo privilegiato sulla realtà. È un lavoro che mi tiene aperto sul mondo intero.
Quanto sono importanti le iniziative come quella di sabato sera?
Esprimono bene questa azione corale, in cui ognuno ha un compito. Oltre a questo, ci forniscono risorse decisamente significative. Sono un migliaio i nostri sostenitori e, grazie a tutti voi, ci arrivano un milione e trecentomila euro. Con il sostegno a distanza sono assistiti 25mila bambini. Sono dati importanti. Ma ancor più, con queste attività spesso così creative come la vostra, seminiamo un principio differente dentro la realtà che viviamo.
Dentro il bisogno di cura, di sviluppo, di educazione cerchiamo di far emergere quello che nel profondo sta a cuore ad ogni uomo. È su questo riconoscimento di un bisogno profondo che nasce e si costruisce una casa comune dove sentirsi pienamente accolti.
Torna il concerto dell’ormai famoso “corone”, nato ben quattro anni fa e da allora protagonista di magiche serate da tutto esaurito al Teatro Novelli di Rimini. Il concerto Canta per il mondo riproporrà anche quest’anno musiche e canti popolari con grandi sorprese nel corso della serata. Si svolgerà sabato 20 maggio alle ore 21, presso il Teatro Novelli di Rimini. Ingresso a offerta libera.
Protagonisti saranno sempre loro (ricordate? Ne parlammo lo scorso anno), ovvero l’associazione Il Ponte sul Mare e l’ Ensemble Amarcanto, che insieme ai ragazzi di quella che era stata l’associazione Open hanno iniziato questa straordinaria amicizia, capace di muovere risorse e tanta gente. L’obiettivo anche quest’anno è l’adozione di 13 ragazzi ugandesi, a cui – grazie a quanto si potrà raccogliere – sarà permesso di studiare presso la scuola Luigi Giussani di Kampala, in Uganda. Senza l’aiuto del “corone” questi ragazzi sarebbero destinati al degrado ed alla miseria. Invece, il contributo di ognuno, anche solo partecipando al concerto, potrà accendere una speranza, confermando una strada intrapresa. Un bisogno di “accensione” che però riguarda un po’ tutti, come ci raccontano Ivana e Angela, tra le protagoniste di questa esperienza.
Con loro abbiamo voluto quest’anno capire meglio chi sono questi “pazzi” che ad ogni occasione non mancano di esprimere la loro esuberante passione per il canto (e per il mondo). (Anno scorso fui invitato alla loro cena post concerto e guardate nella clip che succedeva!).
Ivana, Angela, ci raccontate come è nato tutto? Quale la storia e la ragione della nascita del “corone”?
Crediamo ci siano due passaggi fondamentali.
Il primo è che per molti di noi, crescendo, era sempre più vera questa esperienza: non ti concepisci da solo, sei dentro una realtà grande e dici a sì a qualcosa che ti accade intorno. Tutto quello che è nato, fino a giungere all’esperienza del coro, è stato un susseguirsi di fatti, di avvenimenti a cui abbiamo detto sì.
Il secondo, conseguenza del primo, è che nasce un desiderio fortissimo di incontrare gli altri, ovvero chi ha una vita diversa dalla tua. Questo perché concepirsi come costituiti da un Altro, rende famigliare l’alterità di ognuno, con i suoi bisogni, le problematiche, le contraddizioni.
Così noi, genitori che avevano dato vita a Ponte sul mare, circa una trentina di famiglie, per aiutarci e sostenerci nell’educazione dei figli – che prima di tante cose contingenti hanno bisogno di una grande compagnia in cui crescere – abbiamo incontrato Laura e Anna, che già guidavano l’Ensemble Amarcanto, gruppo di giovani, e meno giovani, appassionati del canto e che ci hanno proposto un gesto di carità mettendo a disposizione il loro talento musicale.
Di qui l’amicizia, lo stringersi di rapporti e l’idea di preparare una serata per sostenere i progetti con cui AVSI sta aiutando situazioni di grandissima difficoltà nel mondo.
Infine, grazie ad AVSI, nasce la grande amicizia con i ragazzi della scuola Luigi Giussani di Kampala, fino ai “collegamenti”.
Spiegateci…
Il primo è stato anno scorso, ma quello più bello e commovente è stato pochi mesi fa. In sostanza da due anni, prima di iniziare il grande lavoro di prove per arrivare al concerto, ci colleghiamo via Skype con i ragazzi che sosteniamo. Quest’anno è stata la scoperta di ritrovarsi uniti in un bisogno: il bisogno loro di aiuto e il bisogno nostro di uscire dalla nostra situazione, di aprirci al mondo, di non soffocare dentro una vita già predeterminata. Il loro, un bisogno urgente, perché senza la scuola, non hanno futuro. Il nostro, altrettanto intenso, perché non si può vivere solo di se stessi.
Ci hai parlato di grande intensità emotiva in questo collegamento via Skype, lo avete anche trascritto in una lettera (si veda qui)… Cosa ha suscitato questa emozione?
Dall’Italia all’Africa abbiamo fatto sentire i nostri canti a loro, e loro avevano imparato canti per noi. Sono stati bravissimi. Abbiamo visto il cammino che hanno fatto da anno scorso, ed è stato davvero notevole. Questo ce li ha fatti sentire vicini, veramente parte di noi. Bisogna tenere conto che la situazione là è davvero impossibile. Ci sono classi di 100 persone, ragazzi abbandonati, e loro erano riusciti persino a comporre musica e parole per noi.
Un cambiamento in atto…
Esatto. E non solo in loro. Noi abbiamo vissuto al nostro interno un fiorire. Una di noi, Manuela, al momento di laurearsi in sociologia, ha ricevuto la richiesta del suo prof. – che la sentiva raccontare di questa esperienza di aggregazione – di fare la tesi sull’esperienza nostra.
Come vive l’esperienza del coro durante l’anno?
Come accennavo, si prova e si fa il concerto. E ad ogni serata di prove si vive questa esperienza dell’incontro. Ma poi gli incontri si moltiplicano e ci chiamano a cantare in varie occasioni. Ad esempio quest’anno andremo a cantare nei paesi dei terremotati del centro Italia. Anche qui seguendo quel che succede: i ragazzi di Gioventù Studensca hanno costruito questa bellissima collaborazione e amicizia con alcuni abitanti di Sarnano e di altri paesi vicini. Ci hanno chiesto di andare a fare un concerto per loro che saranno in gita là il 4 giugno e per la popolazione, e noi abbiamo accettato subito. Seguiamo quanto di buono accade e ci è chiesto.
E la serata del 20 maggio? Che sorprese ci riserverà? Quale il tema?
Il grande tema è lo stesso che ha scelto quest’anno AVSI, ovvero i migranti. Avremo la testimonianza del medico Alfonso Fossa’ (presto proporremo la nostra intervista, realizzata per conoscerlo meglio -ndr). I canti seguiranno questo filo rosso andando a toccare le tradizioni dei popoli in viaggio verso le nostre terre, sulla falsariga anche del bellissimo lavoro fatto da Amarcanto in alcuni suoi concerti di qualche mese fa. Non mancheranno sorprese e un finale esplosivo, che però non posso proprio rivelare!
Un concerto per crescere nella bellezza. Crescere tutti. Sia chi è protagonista dell’evento, ovvero il grande coro di giovani e meno giovani, nato dall’amicizia del gruppo musicale Amarcanto con l’associazione dei ragazzi di Open e quella delle famiglie de Il Ponte sul Mare. Sia chi sarà al Teatro Novelli sabato 14 maggio (domani) alle ore 21 (entrata a offerta libera) per ascoltarli in concerto. Canta per il mondo, darà saggio del loro repertorio proveniente da tutte le tradizioni musicali del mondo. Ma potranno crescere immersi nella bellezza di un percorso educativo all’altezza della dignità della persona umana anche i 10 ragazzi dell’Uganda che riceveranno, grazie a quanto verrà raccolto durante la serata, la possibilità di iscriversi presso la scuola Luigi Giussani a Kampala.
È questo uno delle decine di progetti curati da AVSI e sostenuto dalle tradizionali campagne annuali di raccolta fondi, di cui il momento di sabato sera – a cui non si può mancare – è un esempio nobile.
Tre anni di concerti, in un Teatro Novelli pieno di gente ed entusiasmo, prove, lavoro, rapporti che già lasciano assaporare una novità possibile fin da subito, fin nell’oggi, e che subito si spalanca sul mondo intero fino ad arrivare a Kampala. E non solo per interposta persona. I ragazzi che avranno il sostegno di cui dicevamo sono stati incontrati via web dagli amici del coro, come rivela Buongiorno Rimini. Non sono anonime “situazioni di bisogno” ma persone vere e vive, ora amici, con cui stringere una relazione. E le relazioni, se vere, cambiano le persone. Così i ragazzi ugandesi hanno risposto al grande coro riminese mettendo in piedi un loro coro, in un ribalzare di note, tra continenti, che ha dell’incredibile.
Ma a proposito di cambiare le persone, sabato sera ci sarà la possibilità di ascoltare anche la testimonianza di un protagonista di primo piano della straordinaria attività di AVSI. Si tratta del medico e scrittore Alberto Reggiori.
Lo abbiamo intervistato e le sue parole hanno fatto crescere in noi la curiosità di incontrarlo sabato sera. Ecco l’intervista.
Alberto ci spieghi come è nata la scelta di partire?
Eri sposato da soli due anni, immagino le cose da sistemare… e invece nel 1985 da Varese ti ritrovi in Uganda…
Tutto è nato dall’aver visto e incontrato alcuni medici missionari che in quegli anni spesso venivano a Varese a raccontare la loro esperienza. Poi ho visto partire miei amici e non ho potuto che provare una profonda invidia per loro. Testimoniavano una vita piena, vera, che ho desiderato vivere anche io. Quel desiderio, di cui mi chiedevo se fosse un mio pallino o qualcosa d più, è stato illuminato dalle parole di Giovanni Paolo II. Ad un’udienza (29 settembre 1984) che concesse alla Fraternità di Comunione e Liberazione, ci disse “Andate in tutto il mondo a portare la verità, la bellezza e la pace, che si incontrano in Cristo Redentore”. Lì capii che quel mio desiderio era una cosa seria. Ne parlai subito con mia moglie che era del tutto d’accordo e partimmo per l’Uganda. Avevamo già un figlio…
E non ti sei più fermato…
La permanenza in Uganda fu di dieci anni circa, ma tutt’oggi uso le mie ferie per andare nei diversi luoghi dove AVSI ha bisogno. Sono stato in Sud Sudan, Iraq, Haiti, Albania, Messico…
Quale il contributo più importante che il tuo partire, ma anche il nostro ben più semplice aiuto, può offrire a queste persone? Qual è il valore di quanto si sta facendo?
Attraverso le opere che si realizzano, quello che veramente è importante, e che può dare frutti, è portare una stima e una coscienza del valore di chi si incontra. Attraverso parole e gesti concreti noi stiamo dicendo a quelle persone che valgono, che sono importanti, che le stimiamo per il loro grande valore. Si potrebbe dire oggi, nell’anno Santo, che ciò che conta è portare uno sguardo di misericordia che faccia capire all’altro che ha un valore e ha capacità di vivere. Questo è ciò che fa rinascere le persone e le fa diventare protagoniste esse stesse, in prima persona, di una ricostruzione della loro terra martoriata.
In questi anni hai incontrato situazioni difficile e dolore sconfinato. Immagino che sia impossibile reggere tutto questo senza un “ricevere”, un imparare… Che cosa hai ricevuto da questa esperienza? E quanto ricevuto là, è vivibile anche qui italia?
Ho verificato di persona che la vita è qualcosa che si guadagna dandola, spendendola. È scritto nel Vangelo, ma posso dire di averlo verificato. Ognuno può verificarlo nella sua esperienza quotidiana. Se la vita la vivi per te, la chiudi in te, il tempo te la porta via. Invece se la doni, ti ritorna molto più potente. Posso dirlo di averlo verificato in termini umani, in mille rapporti.
L’incontro con Veronica è uno di quelli che ci porteremo sempre dentro, uno di quelli in cui capisci cosa è l’essenziale. Lei ha cominciato a venire da noi quando si è ammalata di AIDS. Aveva una storia terrible alle spalle. Ha visto qualcosa di buono, ha desiderato stare sempre più con noi, fino a chiedere di essere battezzata. Dalla disperazione che viveva prima è nata in lei una speranza. E attorno a questi rapporti anche la mia vita è rifiorita, la mia e quella della mia famiglia, compresi i rapporti tra me e mia moglie, perché ovviamente ci sono stati momenti non semplici.
Quale il momento più difficile?
Quando arrivò la guerriglia, la situazione era diventata pericolosa per le famiglie. Erano nati altri miei figli là (ben tre nacquero in Uganda ndr) e non era sicuro rimanere per loro. Così -eravamo tre o quattro famiglie- decidemmo di rimanere solo noi medici. Il distacco è stato duro per tutti.
Invece il momento più bello, più commovente?
Sicuramente la visita di Giovanni Paolo II. Quando venne in Uganda, per un caso fortuito potemmo anche dialogare con lui.
Qual è, in questo momento, la frontiera più delicata su cui operare?
AVSI ha deciso di dedicare tutti i suoi sforzi quest’anno ai profughi, in particolare i cristiani perseguitati nel mondo. L’intervento è rivolto sia ad alleviare le condizioni di vita nelle loro terre, dove spesso hanno perso tutto, sia nei centri di accoglienza qui in Europa. Vi sono tantissime iniziative di aiuto sparse in tutta Italia. Questi uomini, nostri fratelli, hanno perso tutto per non perdere la loro fede.
La serata di sabato 14 si prefigura davvero interessante dunque. Alberto Reggiori, dicevamo, oltre che medico è un ottimo scrittore. Abbiamo già parlato de La ragazza che guardava il cielo (di cui vi proponiamo qui il video della presentazione fatta al Meeting di Rimini nel 2011 a cui partecipò anche Veronica – visualizzare a partire dall’ora 1,01).
Oltre a questo libro ha pubblicato Dottore è finito il diesel, in cui narra la realtà in cui ha lavorato in Uganda e Fatti vivo, libro in cui si narrano vicende terribilmente personali.
Storie di sofferenze, riguardando i drammatici fatti che sono incorsi a suo figlio Giulio, per tanti versi così simili a quanto accaduto ad Antonio Socci con la propria figlia Caterina.
La prefazione Fatti vivoè stata scritta proprio da Socci. Sofferenze che tuttavia vengono superate e travolte da una sorprendente e sovrabbondante luce.
Quella che desideriamo incontrare domani sera al Teatro Novelli.
Ci si vede lì!
P.S.
Alberto Reggiori ha tenuto diverse conferenze in Italia. Oltre alle due partecipazioni al Meeting (2005 e 2011) abbiamo ritrovato in rete, tra gli altri, anche questo incontro a Cesano Boscone. La registrazione è amatoriale, ma la testimonianza di Alberto è di alto profilo. La proponiamo qui a conclusione del nostro articolo.