Anche le recenti polemiche sui fatti di Manchester, in casa cattolica, possono aiutarci a capire meglio ciò per cui viviamo. Un’occasione per riflettere pacatamente e ripartire.
È senza dubbio con dispiacere che vedo, di fronte ad eventi così gravi come l’eccidio di Manchester, prevalere in alcune discussioni, il gusto della polemica e delle analisi, anziché sostare, almeno per un attimo, sul dramma che stiamo vivendo. Morti giovani, morti gratuite, il male orribile che si innalza sulla scena di quella che doveva essere vita e invece diviene morte. Tutto questo può essere spunto per battaglie, giudizi, considerazioni polemiche su una battaglia culturale e di civiltà, rilanciando -come è stato fatto con ironia e una punta di disprezzo- il tema dello “scontro di civiltà”?
Per quanto possa essere sacrosanta la battaglia, è questo il momento, è questa l’ora? Non ci riduce al metodo proprio di un Saviano qualsiasi ? (si veda al link la polemica sulla liberalizzazione della droga).
Tutto si decide nel momento e nell’ora. Più che non nei nostri concetti.
Ha colto bene questo punto (il vero motivo delle irritazioni nate di fronte alla lettera di mons. Negri, a cui va dato atto di aver espresso in ogni caso il desiderio di non rimanere indifferente al male che accade), il giornalista Luigi Geninazzi che risponde in maniera sanguigna su Facebook ad un articolo di Riccardo Cascioli che lo attacca, perché non entra a far parte della sacra battaglia.
“Caro Riccardo, nessun travisamento. Le parole di m. Negri sono chiarissime. E indecenti: “Avete vissuto male ma avrete un ottimo funerale”. Ti piace questo sarcasmo rivolto a bimbi e adolescenti morti a Manchester? Che ne sa mons. Negri di loro? Magari c’erano anche credenti. In ogni caso, dire che sono “vite sprecate” non consolerà certo i genitori e i nonni di quei ragazzi. Secondo te un simile giudizio avvicina la gente a Cristo? E non venirmi a citare Biffi, il giudizio sulla nostra società scristianizzata ecc ecc, tutte cose che condivido. Ma se questo si traduce nel “Avete vissuto come poveri coglioni e siete morti da coglioni ad opera di un coglione”, allora siamo decisamente fuori strada. Non cercare di difendere l’indifendibile, per favore.”
Ma ancora di più si veda Marina Corradi, che risponde ad un lettore su Avvenire.
Non è questione di essere più o meno misericordiosi, più o meno volti alla verità o alla bontà (che ben sappiamo non si possono distinguere), ma è questione di chiarire ciò verso cui stiamo camminando, per cui anche questo doloroso fatto è un passo.
Quid est veritas? Est vir qui adest. Fuori di questo nessuna speranza.
Perché accade che affermando vigorosamente “ragioni”, si affermi in realtà il contrario e si alimenti, pur con un volto differente, il medesimo vuoto (in un gioco dialettico che farebbe la felicità di un Hegel o di un Marx)? Possiamo uscire da questo circolo che azzera l’unica risposta che – come cristiani e uomini – abbiamo da offrire alle vittime e all’uomo di oggi (egli stesso vittima) di una logica di morte?
Guardando a come don Giussani in situazioni analoghe reagiva, occorre innanzi tutto osservare che il contraccolpo immediato era del tutto differente. Un silenzio attonito – salvo poche e ben poco autorevoli voci – permeava il sentire comune, anche di chi pure partiva da posizioni del tutto lontane. Mi riferisco al Giussani maturo, capace di rompere il silenzio mediatico in cui era confinata la Chiesa con incredibile forza comunicativa, priva di ogni ombra di contrapposizioni artificiose. Si prenda ad esempio, il discorso diffuso sul tg2 in occasione della strage di Nassirya. Merita di essere riascoltato.
Quel che emerge in quelle parole è commozione per la miserevole condizione umana (di tutti) e la parola misericordia risuona in più passaggi Lo spunto sono le parole della vedova Coletta, che perdonò gli assassini del marito carabiniere.
Ma proprio pochi giorni fa abbiamo postato su questo blog il video con le parole di una donna, vedova per l’attentato in Egitto ai cristiani copti. Stesso impeto e autorevolezza.
Si ricorderanno anche le parole di don Giussani, dopo la tragedia delle Torri gemelle, al responsabile di CL degli Stati Uniti che le trascrive e diffonde agli amici. “Noi dobbiamo tener saldo il nostro giudizio e paragonare tutto con quello che ci è successo, in questo momento grave e grande… Dobbiamo ripetere questo giudizio prima di tutto a noi stessi. Questo momento è almeno grave quanto la distruzione di Gerusalemme. E’ totalmente dentro il Mistero di Dio… Tutto è segno…Preghiamo la Madonna…L’ultima definizione della realtà è che essa è positiva e la misericordia di Dio è la più grande parola. Questo è certo, occorre rimanere saldi nella speranza. Grazie a ognuno, uno a uno, per essere là”. E successivamente il telegramma a Bush, in cui assicura che tutti i membri di CL sono “vicini a Lei in un momento così doloroso per tutta la Nazione – e quindi per tutti gli uomini – per i tragici fatti di New York e di Washington DC, terribile affronto alla dignità dell’uomo”. Ed assicura la preghiera “per la Sua persona e per il Suo popolo affinchè insieme possiate raggiungere quella giustizia pacificante di cui avete sete e di cui tutto il mondo ha bisogno, dato il compito storico che gli Stati Uniti d’America hanno nei confronti di tutti”. E poi la frase posta sulla copertina di Tracce di settembre, dettata da Giussani: “Dio salvi il mondo. Se si mette Dio di fronte a tutti i peccati della Terra, sembra ovvio dire: “chi potrà sussistere? Nessuno si può salvare” E invece Dio muore per un mondo così, diventa uomo e muore per gli uomini. È misericordia il senso ultimo del Mistero: una positività che vince la presunzione e la disperazione”. E il Tracce di novembre riporta questa ulteriore frase di Giussani “Se altri giungono fino al terrorismo, noi dobbiamo giungere fino a una coscienza che sopporta le estreme conseguenze della vita che il Signore ha creato. Questo è il contributo che i cristiani portano dentro il tante volte incomprensibile marasma del mondo: l’affermazione di una inesorabile positività per cui si può sempre ricominciare nella vita” . (Testi tratti da A. Savorana, Vita di Giussani).
Una forza che sbaraglia, ammutolisce, non genera alcuna polemica, non implica alcuna reazione dialettica. Semplicemente lascia ammutolito chiunque, qualunque idea abbia.
Ciò che genera questo giudizio, che ha i tratti di una novità e di una forza assoluta, si trova in quel sentirsi “come anfora vuota alla fonte” che Giussani ci ha insegnato in maniera continua e insistente. È questo senso, e sgomento, dell’esser nulla di fronte al tutto che eventi come quello dell’altro giorno rinnovano drammaticamente. E, in questo ritrovarsi nulla di fronte al tutto, scopriamo di essere assieme -per un attimo- a quel mondo così apparentemente lontano. È l’esperienza della povertà suprema, unica condizione per un incontro (oggi, non ieri, né domani) con il volto carnale di Cristo.
Una povertà che troviamo continuamente nelle parole del Gius e che trova sintesi potente nel verso di una canzone sui carnefici di Auschwitz di Claudio Chieffo: “non è difficile essere come loro”. Una canzone che ho imparato quando avevo più o meno l’età dei ragazzi morti a Manchester e che sicuramente sarebbe stato bello che anche loro conoscessero -più che non altre parole e canzoni-, ma che impone l’azzeramento di tanti pensieri. Per un attimo. Per un momento.
Per questo il volantino della comunità inglese di CL ha colto duplicemente nel segno. Da una parte il riconoscimento di una Pietà che in situazioni come questa finalmente riemerge dal fumo di una società confusa. E che non può che trovarci in una posizione simpatetica, prima ancora che farci tuffare nel mare dei distinguo (che potranno senza dubbio arrivare, che potranno e dovranno essere messi a punto, a tempo debito nel frangente opportuno e con grande attenzione a non cancellare quel poco di bene emerso).
L’altra questione è che non sarà una visione della storia e dell’uomo a salvarci.
“La Resurrezione non è un sogno, è un fatto, che è all’origine della nostra speranza in questi tempi bui. All’origine della nostra certezza che la vita di quei ragazzi non è andata sprecata. È quello che vogliamo testimoniare ai nostri amati compagni, uomini e donne.”
Nel Gius, il “donna non piangere” del nazareno era evidente nei toni, nella forza, nella magnanimità (la grandezza dell’animo che abbraccia tutto di te). Il volantino segue le tracce di questo giudizio, esprime l’esperienza di questo abbraccio e lo porta al mondo.
In questo momento di sgomento, mentre il mondo si ferma e dimostra la sua fragilità prima di riprendere le litanie consuete di questa vita dimentica dell’umano, occorre fermarsi insieme ai nostri compagni di cammino, riconoscendo lo sgomento e il dolore. Riconoscendo di essere “anfore vuote alla fonte”, tesi a rintracciare quell’abbraccio che, unico, può salvare (ed ecco il richiamo di don Giussani alla croce ed alla educazione del popolo – non certo per difesa di una civiltà che egli sapeva non esistere più-).
Ci ha dato lezione di questo, proprio qui a Rimini, il dott. Fossà, medico AVSI nelle terre dello “scontro di civiltà”. Nel suo intervento di sabato sera e nell’intervista Skype realizzata, ha risposto senza saperlo – non era ancora accaduto – a quanto si è poi udito, con quel suo vivere le cose, che ho definito “quasi mistico” per come riusciva a leggere il significato degli eventi, oltre le contingenze.
C’è una forza nell’umano che non si rassegna. In cui – sono sempre parole del dott. Fossà – soffia lo Spirito che dà vita (e che è irriducibile). I cristiani hanno un compito decisivo nella presa di coscienza di cosa esso sia.
Questa forza fa sì che un popolo – in cui ci si aiuta reciprocamente a riconoscere quel Volto, ovvero in cui si lavora per educarsi alla vita – si possa ritrovare in poche ore, rispondendo ad un appello del pomeriggio. E così, da pomeriggio a sera, possa gremire una chiesa per un rosario (pregare è il gesto più razionale, sempre!). E in quell’occasione sono d’aiuto a spazzar via qualsiasi ambiguità le parole del sacerdote, laddove afferma “siamo qui non per affermare Cristo contro il male, ma per lasciarci guardare da Lui, nel cui sguardo è salvato tutto, anche il male” (cito senza pretesa di essere testuale). Affermazione che fotografa perfettamente la posizione dei cristiani in medio oriente, del tutto lontani dai nostri scontri di civiltà ma capaci di vivere da uomini in mezzo alle condizioni più avverse (sempre il dott. Fossà riferendosi ai campi profughi di Erbil e a Damasco: “in loro non un segno di rabbia, non una polemica, non un lamento, ma una inspiegabile letizia. Non sapevamo spiegarci come fosse possibile.”).
La carezza del nazareno è ciò di cui ha bisogno il mondo (e ognuno di noi) per ripartire e costruire realmente la civiltà della verità e dell’amore. Ringrazio i tanti amici che già sono incamminati in quest’opera e che mi conducono quasi per mano.
Grazie Emanuele,
Lucidissimo ed appassionato.
Claudio