Impressionante la notizia che riporta Il Sussidiario… Un donna ferita al Bataclan, colpita da 6 colpi di arma da fuoco, tre al petto e tre al ventre, è uscita dal coma (leggi qui). La riabilitazione durerà un anno, ma tutto concorreva a far sì che non dovesse essere più su questa terra.
Di fronte all’abisso di questa incredibile sfortuna (essere lì) e “fortuna” (essere viva, malgrado l’essere stati trapassati dalle pallottole delle armi automatiche dei terroristi), non ci si può non chiedere: ma perché? Cosa vuol dire ora per lei vivere? E cosa è morire?
Perché ci siamo e qualcuno non c’è…?
Ed esserci, in mezzo a questa “casualità” assoluta (o non dobbiamo forse dire “gratuità” assoluta, il che è lo stesso, visto però da un altro lato), che significato assume?
Chi ci tiene in vita e chi ce la toglie? Un caso, un destino o Uno con cui entrare in rapporto…?
C’è possibilità di entrare in rapporto con la ragione del nostro esserci? Ma chi è, cosa è, in definitiva, questa ragione? Giacché quanto accade attesta ragioni (il mondo ha una sua struttura), ma queste ragioni non paiono sufficienti a spiegare il punto d’origine.
Viene in mente la modalità con cui Marta Bellavista si poneva questa domanda, nel famoso intervento che tenne in Università nel 2007, dopo essere guarita dal suo primo tumore, un approccio del tutto singolare e a noi così poco noto.
“tu che mi hai ridato la vita una seconda volta, tu che mi hai salvata, cosa vuoi da me? perché mi hai donato tutto questo? perché mi fai desiderare tutto così potentemente? tu che mi puoi togliere e mi puoi dare tutto, continua a mostrarmi il tuo amore e permetti che io non ti resista ma mi abbandoni totalmente a te.”
Marta aveva instaurato un dialogo profondo con un interlocutore.
Vengono in mente le inquiete domande di Tree of life, di Malick, e quelle che ci poniamo sempre quando tra persone libere, pur partendo spesso da posizioni del tutto differenti, ci si ritrova a parlare di ciò che ci preme nelle vita. Non c’è altra domanda che valga la pena realmente porsi, e tutte le domande che possono insorgere, non fanno altro che rimandare a questa. Urge una risposta. E questa “urgenza” rende affascinante la vita.
PS: (dedicato agli amici della “birra filosofica”).
«Venerdì sera avete rubato la vita di una persona eccezionale, l’amore della mia vita, la madre di mio figlio, eppure non avrete il mio odio. Non so chi siete e non voglio neanche saperlo. Voi siete anime morte. Se questo Dio per il quale ciecamente uccidete ci ha fatti a sua immagine, ogni pallottola nel corpo di mia moglie sarà stata una ferita nel suo cuore. Perciò non vi farò il regalo di odiarvi. Sarebbe cedere alla stessa ignoranza che ha fatto di voi quello che siete. Voi vorreste che io avessi paura, che guardassi i miei concittadini con diffidenza, che sacrificassi la mia libertà per la sicurezza. Ma la vostra è una battaglia persa. L’ho vista stamattina. Finalmente, dopo notti e giorni d’attesa. Era bella come quando è uscita venerdì sera, bella come quando mi innamorai perdutamente di lei più di 12 anni fa. Ovviamente sono devastato dal dolore, vi concedo questa piccola vittoria, ma sarà di corta durata. So che lei accompagnerà i nostri giorni e che ci ritroveremo in quel paradiso di anime libere nel quale voi non entrerete mai. Siamo rimasti in due, mio figlio e io, ma siamo più forti di tutti gli eserciti del mondo. Non ho altro tempo da dedicarvi, devo andare da Melvil che si risveglia dal suo pisolino. Ha appena 17 mesi e farà merenda come ogni giorno e poi giocheremo insieme, come ogni giorno, e per tutta la sua vita questo petit garçon vi farà l’affronto di essere libero e felice. Perché no, voi non avrete mai nemmeno il suo odio».
(Lettera postata su Facebook da Antoine Leiris, che si rivolge ai terroristi che venerdì hanno ucciso la moglie, al concerto degli Eagles of Death Metal al teatro Bataclan di Parigi).
Questo è l’occidente che vincerà la battaglia. È la radice umana e cristiana della nostra storia. Cristiana, e dunque, per definizione stessa, aperta all’uomo, all’uomo in tutte le sue condizioni, fino a giungere a quel dolore che nessuno ha il coraggio di guardare. Quel dolore che è un abisso, a cui tuttavia siamo stati educati a guardare attraverso gli occhi della croce e della resurrezione. E da cui nasce la potenza di quell’altra parola, perdono. Parola che pare impossibile all’uomo.
Di contro ad ogni facile semplificazione, occorre distinguere e capire, certi che esiste una ricchezza preziosa, capace di darci l’opportunità di uscire dall’empasse in cui siamo caduti.
Il valore della lettera di Leiris, infatti, è nella testimonianza di una diversità presente, non ancora cancellata, di un vivere capace di vincere la morte e l’odio.
Per questo la testimonianza di amici mussulmani, amici cari di cristiani, come FarahdBitani o Wael Farouq, sono oggi preziose, perché percorsi rinnovati e in atto di una possibile novità per l’uomo, chiamato, ora come sempre, a rispondere alla domanda che ci accomuna tutti: che cosa regge di fronte alle sfide dell’esistenza?
La risposta al terrorismo passa per le vite di ognuno di noi, chiamati a non dimenticare, come vorrebbero che facessimo, questa domanda.
Il mio amico Arca, scrive su Facebook, riportando Pasolini…
Non si lotta solo nelle piazze, nelle strade, nelle officine, o con i discorsi, con gli scritti, con i versi: la lotta più dura è quella che si svolge nell’intimo delle coscienze, nelle suture più delicate dei sentimenti.
Pier Paolo Pasolini – “Vie Nuove” n. 51
28 dicembre 1961
Uniti nel tentativo di rispondere ci si riscopre assieme, pur da posizioni differenti.
È il voler il bene dell’altro in quanto altro. È l’anima dell’Europa.
Come dice Leiris, se saremo fedeli a questo, siamo già vincitori.
Come già scritto, lavorando sui totalitarismi con le mie due quinte, in occasione dell’imminente viaggio, a Monaco l’una, a Berlino l’altra, abbiamo scoperto una luce quanto mai interessante per leggere l’attuale situazione di violenza e paura, scatenata dagli attentati di Parigi.
Non un evento che riguarda altri, un passato già sepolto (Nazi-comunismo) o persone di altra civiltà e cultura (Isis). Ma un evento che riguarda noi. Riguarda le ipocrisie, recenti e remote, dei potenti e delle persone comuni che si abbeverano a slogan dal fiato corto. Riguardano noi, riguardano me e te, e “l’egoismo sdrucciolo che abbiamo tutti quanti” (Guccini, Libera nos domine).
Per questo ho apprezzato enormemente l’ “azione” dei ragazzi che si sono resi disponibili a proseguire il lavoro svolto a lezione, con ore aggiuntive (e non dovute), guardando e ragionando su film come La Rosa bianca (totalitarismo nazista) e le Vite degli altri (totalitarismo comunista) insieme a docenti (di filosofia e storia, ma anche religione, fisica, matematica) che allo stesso modo hanno giocato il loro tempo per un qualcosa di non scontato, non dovuto. Gratuitamente.
C’è un segreto importante in questa piccola mossa degli studenti e dei prof implicati, capaci di commuoversi di fronte a vicende e temi di questo genere. Ci siamo mossi insieme attorno alla ricerca di un vita nella verità.
Il film Le vite degli altri, anticipato dalla lettura di un brano del libro dell’allora dissidente Vaclav Havel, Il potere dei senzapotere(1978), ha messo a fuoco il motivo di questo muoversi e commuoversi.
La svolta della vita dell’aguzzino della Stasi avviene dopo l’ascolto della Suonata per un uomo buono, il cui spartito viene regalato da un caro amico, rovinato dal regime e poi suicida, allo stesso protagonista (Georg Dreyman.). Dopo averla suonata, Georg Dreyman esclama, “ma se uno ha ascoltato, veramente ascoltato, questa musica, come può continuare ad essere ancora cattivo?”.
La suonata viene associata, sempre dal protagonista, all’Appassionata di Beethoven, il brano con cui ho iniziato ad amare la musica classica, allora 19enne… musica poi compagna di una vita intera e che spesso faccio ascoltare ai miei studenti.
Non ho potuto non ricordare, a conclusione del film, un passo di T.S. Eliot che mi è sovvenuto alla mente immediatamente… “Sognando sistemi talmente perfetti che più nessuno avrebbe bisogno d’essere buono”.
In fondo il totalitarismo è il grande tentativo, ancora in corso in forme diverse, di realizzare questi “sistemi”.
Il totalitarismo non è lontano da noi. È l’esperienza dell’ottundimento della ragione, l’oblio dell’amore al bello e al buono, l’indifferenza all’altro, la perdita del gusto della ricerca della verità, il fermarsi all’esecuzione dei propri compiti senza che nulla ci strappi dal nulla, quel nulla in cui cade necessariamente la nostra esistenza se non ci accorgessimo della presenza di un “alone di splendore (che) aleggia sulla vita degli uomini” (Christoph Probst, membro della Rosa Bianca).
Questo alone di splendore va riconosciuto, contendendo “palmo a palmo il terreno alla notte” (don Giussani).
Una bella battaglia. Questa la vera battaglia, questi i “compagni di lotta”, contro cui l’ISIS non ha chanche di vittoria.
Di compagni di lotta così ne ho conosciuti tanti nella mia vita e ne conosco ogni giorno di nuovi. Uomini (alcuni cristiani, altri islamici, altri ancora non credenti) capaci di desiderare ancora il bello, il vero, il buono.
Ma quegli uomini che hanno ucciso che speranza avevano? La donna, Hasna, era una dirigente d’azienda, bella, brillante… ma odiava la Francia, paese d’infedeli. Altri erano imbottiti di droga, per reggere il grande passo verso la morte. Altro che Martiri. Martiri sono i 19 Egiziani Copti che benedicono Cristo, mentre il boia impartisce loro una morte che non desideravano. 19 giovani che vivevano per qualcosa di più forte della morte.
I criminali dell’ISIS, non immigrati, ma nativi in Europa, non balordi ma colti e affermati – così taluni -, che Francia ed Europa hanno incontrato? Come non essere tristi per non aver saputo loro testimoniare nulla di buono?
Per questo la lotta al nulla, che accomuna noi e l’Isis, noi nella nostra impotenza a testimoniare una speranza, l’Isis nella sua folle traduzione della disperazione in un progetto totalitario e irrazionale, così simile al Nazismo per la sua crudeltà e lucida pazzia, passa per scintille di bellezza e di vita diversa. Come quella messa in atto, pur forse inconsapevolmente, dai miei ragazzi e colleghi. Per questo dico loro grazie.
Scintille di vita buona. Come quella in cui si darà esplicita manifestazione con il grande gesto di gratuità della Colletta alimentare del 28 novembre. Un puro gesto di gratuità che spezza il grigiore del quotidiano e fa riscopre l’alone di splendore di cui ben si accorgeva il martire per la libertà Probst. Anche per questa iniziativa, occorre dire grazie a tutti coloro, studenti, amici, che si stanno mettendo in gioco e mi testimoniano che l’ISIS non può vincere.
Scintille di vita diversa, per imprimere alla vita un corso diverso dal nulla a cui ci vogliono portare, soavemente con le note di un motivetto alla moda, o crudelmente, con il volto accigliato di un terrorista islamico.
Con centinaia di amici, davanti al sagrato del Duomo di Rimini. Con noi il vescovo, arrivato trafelato da una manifestazione ufficiale con le autorità in piazza, … e tutti noi grati per la sua vicinanza e paternità.
Le parole di don Carron, i canti stupendi della tradizione cristiana, i volti attoniti e commossi, ma lieti e certi degli amici di sempre, di chi tante volte ti ha aiutato a ripartire.
E poi l’ascolto delle parole del papa. “È una terza guerra mondiale. Non è un gesto religioso, né umano. Non si può comprendere…”.
Infine il saluto, la preghiera (bellissima) e la benedizione del nostro vescovo Francesco.
Si esce e si torna, insieme a moglie, figlie e amici, Per strada si incontra qualche tuo studente… Parole intanto sul telefonino con chi da scuola chiede cosa si possa fare… Settimana prossima ci sarà molto da lavorare.
E si esce con una certezza. Noi non moriremo. Ci possono anche ammazzare, ma non moriremo.
Per grazia, non moriremo. Lieti nella prova.
Testo consegnato al rosario tenuto a Rimini poche ore fa:
Comunione e Liberazione si unisce alla commozione, al dolore e alla preghiera di Papa Francesco per le vittime degli attacchi di Parigi e per il popolo francese: «Queste cose sono difficili da capire. Non ci sono giustificazioni per queste cose, questo non è umano» (Papa Francesco al telefono con TV2000). Don Julián Carrón, presidente della Fraternità di CL, ha dichiarato: «Davanti ai nostri occhi c’è un’evidenza: la vita di ciascuno è appesa a un filo, potendo essere uccisi in qualsiasi momento e ovunque, al ristorante, allo stadio o durante un concerto. La possibilità di una morte violenta e feroce è divenuta una realtà anche nelle nostre città. Per questo i fatti di Parigi ci mettono davanti alla domanda decisiva: perché vale la pena vivere? È una provocazione che nessuno di noi può evitare. Cercare una risposta adeguata alla domanda sul significato della nostra vita è l’unico antidoto alla paura che ci assale guardando la televisione in queste ore, è il fondamento che nessun terrore può distruggere».
«Chiediamo al Signore di poter affrontare questa terribile sfida con gli stessi sentimenti di Cristo che non si lasciò vincere dalla paura: “Oltraggiato non rispondeva con oltraggi, e soffrendo non minacciava vendetta, ma rimetteva la sua causa a colui che giudica con giustizia” (I Pt 2,23). Con questa Presenza negli occhi potremo guardare perfino la morte, a cominciare da quella di coloro che hanno perso la vita a Parigi, offrire ai nostri figli un’ipotesi di significato per stare davanti a queste stragi e a ciascuno di noi una ragione per tornare al lavoro lunedì mattina continuando a costruire un mondo all’altezza della nostra umanità, con la certezza della speranza che è in noi». Con queste parole don Carrón ha invitato tutti gli amici del Movimento ad aderire ai momenti di preghiera che saranno proposti dalle diocesi, in unità con il Papa e con tutta la Chiesa.
Le parole del papa
Santità quali pensieri e sentimenti davanti alla carneficina di Parigi ? “Sono commosso e addolorato. Non capisco ma queste cose sono difficili da capire, fatte da essere umani. Per questo sono commosso, addolorato e prego. Sono tanto vicino al popolo francese tanto amato, sono vicino ai familiari delle vittime e prego per tutti loro”.
Lei ha parlato tante volte di una terza guerra mondiale a pezzi ? “Questo è un pezzo, non ci sono giustificazioni per queste cose”. Soprattutto non ci può essere una giustificazione religiosa ? “Religiosa e umana. Questo non è umano. Per questo sono vicino a tutta la Francia che le voglio tanto bene”.
Sono allergico alle feste, ai convenevoli, a tante cose… Per cui il mio compleanno lo dice Facebook, mentre io di solito lo taccio.
Devo però riconoscere che l’augurio di un caro amico, Francesco Giuseppe Pianori, mi ha fatto lasciare tutto e mettermi a scrivere qui.
Ecco cosa ha scritto sulla mia bacheca Facebook:
Auguri di Buon Compleanno, Emanuele. “E mentre, lieve, l’ombra cede al chiaror nascente, fiorisce la speranza del Giorno che non muore” Passano gli anni, si susseguono i giorni e il compimento si avvicina. Il tempo non ci è nemico…
Un inno che ho recitato mille volte durante le Lodi, ma che non ho mai pensato di correlare a quel segno del passare degli anni che è il compleanno.
È proprio vero, il tempo non ci è nemico, è l’approssimarsi del compimento. “Noi siamo fatti per conoscere chi ci ha fatto”, cosa mai può farci paura? E posso dire con orgoglio che adoro invecchiare, mi piace percorrere questa strada, più in fretta possibile, certo della meta e gustando ogni passo, anche quelli dove inciampo brutalmente.
E così anche scorrere semplicemente le centinaia di auguri sulla bacheca, uno ad uno, alcuni di sconosciuti, altri di carissimi amici, tanti dei propri alunni, fa percepire (grazie al post di Pianori) la verità di quelle parole del don Gius, dedicate al suo amico Angelo. L’unico vero significato lieto del festeggiare il proprio compleanno.
«Carissimo, è la prima volta ch’io ti faccio gli auguri per il tuo compleanno. È la prima volta che ne so la data. E nel compiere questo lieve atto di amicizia provo una gioia così grande, ch’io mi meraviglio di me stesso. Immagini se tu non fossi nato, quale meravigliosa cosa di meno ci sarebbe al mondo? Una meravigliosa cosa che c’è perché è tutta un dono. Il compleanno è il giorno in cui fisicamente si sente l’amore di Dio che ci ha fatti, potendoci non fare: «prior dilexit nos»: ci si sente «fatti», con stupore. È il giorno in cui si adora nostro papà e nostra mamma: lo strumento sensibile. Crea tante altre cose meravigliose! È un augurio così violento, quasi lo facessi a me stesso. Sento la tua gioia, di trovarti tra i tuoi monti. Auguri anche di goderti tanto anche questi».
C’è qui tutto il segreto del fascino della filosofia che insegno; mi sovviene la scoperta della nozione tomista dell’ esse ut actus, della perfezione dell’essere nel suo semplice porsi, una ricchezza infinita nel semplice atto di esistere.
Lieti perché ci siamo. Ecco perché è bello farsi gli auguri.
Matrix revolution dovrebbe essere chiamato Matrix “involution”. Il film per quasi tutta la durata vive delle vicende dei primi episodi e, quando nel finale sembra prendere una piega sua propria, scivola in una narrazione fiacca e priva di spessore.
La trama imbastita è carente, tanto che durante la visione insorge un esplicito senso di stanchezza. E’ chiaro che i fratelli Wachowsky si sono arenati nell’impresa, tutt’altro che facile, di sostenere le loro valide intuizioni e senza dubbio il flop del film si spiega con questa difficoltà, peraltro piuttosto consueta in questi casi.
Ma forse in questa caduta verticale vi è qualcosa di più.
Abbiamo individuato nella vicenda dei primi due Matrix una forte tensione ad affermare il reale ed una valorizzazione, sebbene carica di elementi ambigui, della libertà, intesa quale libero arbitrio o scelta.
E’ evidente che la cultura contemporanea vive un forte senso di difficoltà al momento di affermare il valore e la consistenza del reale e i Wachowschy sembrano non essere affatto fuori da tale empasse. Sembra una maledizione, ma la creatività dell’uomo contemporaneo, sia che filosofi, sia che crei ardite opere d’arte, sia che traduca in un film la sua forza immaginifica, è decisamente in imbarazzo di fronte a quella che sembra l’evidenza prima del vivere: esiste qualcosa. Così nel film non c’è più direzione e la lotta di Neo diviene una sorta di compromesso con il mondo delle macchine. Nessuno vince; c’è la pace tanto agognata da Zion, ma il potere è sempre in mano alle macchine. Si traspone la tematica: dalla lotta per affermare l’origine reale dell’umanità, alla lotta per far vincere il bene contro il male (l’agente Smith), un bene e un male che sembrano determinati comunque dalle macchine, (o dal comune ma opposto rifiuto delle stesse? Nel film nessuna risposta) le quali sono una sorta di dio-demiurgo che crocifigge il proprio figlio, Neo, senza farlo risorgere. Già, perché la scena finale è una goffa imitazione della crocifissione (Neo morendo distrugge il male). Una crocifissione in cui però non vi è segno di resurrezione, salvo un possibile scherzo di un finto finale e di un futuro sequel.
E qui sembra essere il punto. Senza resurrezione non c’è realtà. Tutto è destinato ad apparire una “favola raccontata da un ubriaco in un eccesso di furore”. Il “coraggio dell’essere” (von Balthasar), vissuto come per istinto dai Greci, ribadito e rafforzato con la forza della fede dai cristiani, é in buona parte disperso nella cultura moderna e contemporanea. I fratelli Wachowsky non sfuggono a questo destino e tradiscono gli spunti iniziali del film, non sciogliendo alcuno dei nodi abilmente intrecciati precedentemente.
Forse anche perché per affermare il valore dell’essere non c’è bisogno di rivoluzione ma di resurrezione.
Al momento della pubblicazione di questo articolo su Ariminol, sarà già presente nelle sale cinematografiche il terzo episodio di Matrix, episodio che, come i precedenti, sicuramente susciterà dibattiti, commenti, discussioni e quant’altro.
Ci pare interessante riflettere su questa avvincente saga fantascientifica, soffermandoci un attimo per domandarci quale sia l’elemento di fascino del film. Film, ricordiamolo, che ha acquisito una notorietà che supera senza ombra di dubbio l’ambito degli amatori di un genere o del cinema in generale, ponendosi invece come riferimento capace di determinare mode, linguaggi e il vissuto quotidiano.
Malgrado gli elementi di interesse del film siano molteplici, forse quello più intrigante consiste nella capacità di tradurre in un linguaggio nuovo, accattivante e tecnologicamente avanzato, le questioni più antiche ed essenziali: le domande fondamentali che la ragione suscita nell’uomo di fronte alla realtà.
Che questo sia uno dei segreti del successo di Matrix lo prova la ricchezza di riferimenti che si trova sulla rete ad una semplice ricerca con i termini “matrix” e “filosofia”.
Sono migliaia i riferimenti presenti e di qualità interessante. Nella seconda parte dell’articolo intraprenderemo un viaggio all’interno di alcuni di questi siti, con l’intento di fornire un comodo viaggio tra le più varie interpretazioni possibili del film. A dir il vero intendiamo proporre anche un nostro percorso personale, che peraltro tocca un aspetto che non abbiamo incontrato nel nostro viaggio sulla rete e che pure ci pare centrale. Solitamente si intende Matrix tutto orientato a descrivere una realtà virtuale e illusoria, un mondo di macchine, uomini di pura coscienza (in salsa New Age). E se invece il film fosse, al di là di questi aspetti, l’espressione di una profonda esigenza di realtà? Detto in termini filosofici: e se il film fosse orientato verso un profondo realismo?
C’è chi trae dal film, quale messaggio filosofico suo intrinseco la seguente suggestione. In un articolo della prestigiosa rivista «Mind»: «Are you living in a Computer Simulation?» (Vivete in una simulazione fatta al computer?) il professor Bostrom, della Yale University, sostiene: «La nostra vita potrebbe essere per davvero una simulazione computeristica escogitata da una popolazione post-umana, molto più avanzata della nostra che vive in quello che noi crediamo il futuro».
Sebbene questo sia l’ambiente in cui si svolge buona parte della vicenda, ma non dimentichiamo la realissima astronave e la realissima Zion, non ci pare il messaggio più credibile di Matrix. Riteniamo al contrario che sia possibile continuare a credere che la nostra esistenza, le cose belle e tragiche della vita, gli amici, la moglie e i figli siano più che reali. Molto umilmente suggeriamo di porre l’attenzione a due parole chiave, sostenute da una terza che è strumentale alle prime. Le parole “libertà” e “realtà” sembrano dominare il film. La tensione verso questi concetti, poi implica la necessità di una “rivoluzione”, una lotta per riaffermare l’origine. Essa tuttavia non è fine a se stessa, né è colorita in sé stessa di un valore salvifico (quale cammino necessario della Storia, ad esempio), ma è una sorta di ribellione morale o percorso interiore di metanoia (conversione), di fronte al mondo delle menzogne, degli schemi rassicuranti, dell’astrazione irreale. La condizione fondamentale che permette questa lotta viene scoperta ed esplicitata gradualmente nel corso di tutta la vicenda. E’ la libertà, la scelta intesa come possibilità reale di determinare gli eventi. La necessità e la presenza della scelta, nella sua tensione contro la logica circolare del “sistema Matrix”, è evidente fin dall’inizio (scelta di essere o non essere un buon dipendente, scelta della pillola rossa o blu, scelta di salvare la vita di Morpheus, poi di Trinity, ecc.) e il protagonista Neo sembra in grado di superare gli schemi del sistema (l’oracolo opponeva la “missione” alla salvezza di Morpheus, l’architetto induce l’alternativa tra la salvezza di Zion e la vita di Trinity). Neo apre nuovi scenari che il sistema Matrix intende convogliare dentro la sua logica onnipresente ed oppressiva (correggendo l’anomalia, che fondamentalmente consiste nella libertà). Il terzo episodio chiarirà forse l’esito di questa dialettica (per Matrix) guerra (per Neo) tra l’affermazione della scelta libera e la circolarità sistemica della logica di Matrix.
Ma la parola decisiva che incombe sul film accanto a “libertà” è la parola “realtà”. Infatti, se è vero che si sostiene l’evanescente apparenza del tutto, al contempo si narra l’impresa di uomini che vogliono con tutte le loro forze affermare ciò che è reale, effettivo, carnale. Il film intero è l’esaltazione dell’ineludibile volontà di abbracciare il reale, dimensione originaria e vera seppure lontana. Non esisterebbe neppure la trama del film se si omettesse questo aspetto, eppure, ci pare, tante critiche del film lo dimenticano, affascinate dall’oramai consueto orizzonte di dubbio nei confronti delle cose. Dubbio che c’è nel film, ma solo per affermare una dimensione reale vera, dove gli uomini sono uomini, le cose sono cose e le macchine tornano ad essere strumentali all’uomo. Questa istanza realistica, considerata nel sito di indymedia come negativa e destrorsa (vedi sotto i link che proponiamo) ed invece semplicemente umana, sarà confermata nel terzo episodio o prevarrà il dominio dell’inganno e dell’astrazione?
A questo proposito invitiamo chiunque voglia intervenire in merito a scriverci per esprimere opinioni, aggiungere elementi, operare critiche. Potremmo forse iniziare un dibattito interessante, a più voci.
E’ comunque certo che il film ha il merito di far discutere e sollecitare riflessioni, tutt’altro che epidermiche, su un’affascinante linea che attraversa la cultura elevata, la filosofia, la cyber cultura, la fantascienza, la cultura underground della rete (interessanti gli episodi in stile anime, chiamati Animatrix, scaricabili dal sito ufficiale di Matrix).
Intraprendiamo dunque, ora, il nostro viaggio tra i meandri della rete, tra i quali, da oggi c’è anche Ariminol.
Andando sul sito amatoriale di Diego Fusaro, (studente, oramai ex, di liceo) , si trova una scheda relativa al primo Matrix che, dopo una prima analisi del film e dei dialoghi principali, si impegna a mostrare i riferimenti a Nietsche, Schopenhauer, Platone, Marx e Cartesio presenti nel film. Si scopre in Matrix una vera sintesi di un qualsivoglia programma di filosofia del liceo, dove temi gnoseologici ed ontologici vengono riproposti con un’indubbia profondità anche se ovviamente senza la pretesa di corrispondere alle esigenze sistematiche della disciplina.
Un passo oltre ci troviamo ne “Il giardino dei pensieri” (la pagina oggi non è più attiva – nda) dove Diego Marconi, partendo da Matrix allarga il tema al rapporto più generale che si può riscontrare tra cinema e filosofia. In particolare si riconosce a Matrix non solo il merito di riproporre temi filosofici classici ma di esercitare una spinta al filosofare, proponendo addirittura una sua propria filosofia. In particolare quattro sarebbero i temi propri del film: il rapporto tra artificiale e naturale; il rapporto tra mente e corpo; il rapporto tra realtà e sogno; il tema dell’illusione perfetta o della realtà virtuale. Profonda, affascinante e suggestiva l’analisi di Cristina Boracchi sul sito della Società Filosofica Italiana (anche questa pagina oggi non è più attiva – nda), dove si osa un approccio critico interessante mettendo in luce il significato più profondo delle rivisitazioni operate nel film, ma anche annotando le caratteristiche stilistiche innovative e soprattutto mettendo in evidenza l’intrinseco valore filosofico di Matrix, qui identificato nel percorso del protagonista, Neo, verso la verità.
Sulla vera e propria filosofia di Matrix interviene anche Corrado Ocone, (anche questa pagina oggi non è più attiva – nda), il quale ricorda le suggestioni della fantascienza di Dick e, sfidando le riflessioni scettiche di Morandini, (che ritiene il film un «pastrocchio saccente e misticheggiante»), interpella il maggior filosofo della scienza italiano, Giulio Giorello, il quale ci ricorda che in Matrix, dal punto di vista filosofico non si trova nulla di nuovo, rispetto a quanto Cartesio e Calderon de la Barca avessero già trattato (l’ipotesi che la vita sia sogno).
Quel che di nuovo sicuramente c’è, è la distopia, ovvero l’utopia negativa, una visione del futuro macchiata di orizzonti catastrofici e negativi, come viene messo in evidenza in http://www.it.ciao.com/Matrix__Opinione_41845 5 (anche questa pagina oggi non è più attiva – nda) .
Il tentativo di Alessandro Studer invece, sempre ne Il giardino dei pensieri (pagina oggi non più attiva – nda), è quello di orientare i temi del film in direzione platonica e freudiana, attraverso la suggestiva metafora del “cinema” come figura della caverna platonica.
In un ampio articolo, in ihmagazine.it (pagina oggi non più attiva – nda), che spazia anche sugli aspetti tecnologici e stilistici del film, ci viene ricordato come Matrix abbia suscitato dibattiti, corsi universitari e pubblicazioni: (“The Philosophy of Matrix” di William Irwin, “Exploring Matrix: Vision of Cyber Present” di Karen Haber e “Taking the Red Pill: Science, Philosophy & Religion in Matrix” di Glenn Yeffeth e, aggiungiamo noi, in italiano “Visioni da Matrix, tracce di un presente cyber”, 17 saggi raccolti per i tipi della Sperling & Kupfer).
Più mirato l’intervento di Tombolino, che coglie un nesso diretto tra Heidegger (il filosofo che mise in guardia l’umanità dal dominio della tecnica) e Matrix (pagina oggi non più attiva – nda) mentre altrove troviamo letture esoteriche del film. Interessante notare che nei confronti di Matrix c’è già chi ha certezze politiche. Sul sito preferito dei No Global (Indymedia) si legge che Matrix ha l’infame colpa di essere di destra (“Matrix e Matrix Reloaded. Ecco due tipici esempi di cultura di destra, per quanto trasversale e forse inconsapevole.”), provate ad andare su per verificare il ragionamento (si fa per dire) sotteso a questo giudizio. (purtroppo anche questa pagina oggi non è più attiva – nda)
Ma tralasciando chi vuol trovare nemici politici in ogni dove, possiamo concludere questa carrellata citando il sito ufficiale di Matrix che offre, in inglese, diversi contributi in questa direzione e conferma l’intenzionale pregnanza filosofica del film. (anche questa pagina non è più attiva, ma qualcosa ancora si trova qui)
Dopo questa lunga carrellata, attendiamo anche la vostra voce. Scriveteci!